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La sfida tra Bolsonaro e Lula è un test per la democrazia brasiliana

Sostenitori di Lula a São Paulo, 24 settembre 2022. (Amanda Perobelli, Reuters/Contrasto)

I brasiliani dicono che quelle del 2 ottobre saranno le più importanti dal ritorno della democrazia nel 1985, dopo la fine della dittatura militare. Gli elettori conoscono bene i due principali contendenti: da un lato Jair Bolsonaro, presidente uscente e populista dalle tendenze autoritarie che ha pericolosamente spaccato il paese.

Dall’altro Luiz Inácio “Lula” da Silva, ex sindacalista che ha ottenuto due mandati come presidente prima di finire in prigione per un’accusa da cui è stato successivamente assolto. Lula ha 76 anni e non vuole più rivoluzionare il Brasile, ma si preoccupa soprattutto di sbarrare la strada al pericoloso Bolsonaro.

I sondaggi prevedono una vittoria di Lula, forse al primo turno, sicuramente al secondo. Ma Bolsonaro segue il copione scritto da Donald Trump, che rappresenta il suo modello: se perderà, sosterrà che le elezioni sono state truccate. Questa è la grande paura dei brasiliani nonché il motivo per cui importanti personalità del centro e della destra si sono avvicinate a Lula, l’uomo della sinistra. L’obiettivo è evitare una versione brasiliana del caos postelettorale negli Stati Uniti. È chiaro che le elezioni brasiliane rappresentano un test importante.

Ondata in ritiro
Si tratta di un banco di prova per la democrazia che va oltre le frontiere del Brasile. La vittoria di Bolsonaro nel 2018 ha fatto parte dell’ondata di successi ottenuti da partiti descritti a volte come “populisti”, sicuramente “antisistema”, o anche di estrema destra.

L’esercizio del potere non ha fatto bene ai partiti e agli uomini favoriti dalla contestazione e dalla rabbia popolare

In queste categorie rientrano la vittoria della Brexit al referendum del 2016, al termine di una campagna elettorale piena di menzogne; qualche mese dopo, l’elezione di Donald Trump, che aveva incoronato un demagogo miliardario. Nel 2018 il successo del Movimento 5 stelle in Italia, associato a quello della Lega di estrema destra, era sfociato in una strana alleanza di governo. E intanto Bolsonaro aveva coinvolto il paese più grande dell’America Latina in questa ribellione degli elettori che si consideravano penalizzati dalla globalizzazione imperante. Oggi, però, non restano molte tracce di quell’ondata.

L’esercizio del potere non ha fatto bene ai partiti e agli uomini favoriti dalla contestazione e dalla rabbia popolare. La disfatta di Boris Johnson nel Regno Unito ne è il simbolo assoluto. C’è un limite alle menzogne che i cittadini possono accettare… Trump è stato battuto anche se resta una minaccia, mentre in Italia il Movimento 5 stelle è precipitato dal suo piedistallo. Resta Bolsonaro, che il 1 ottobre scoprirà se sarà sfuggito a questo gioco al massacro.

Ciò non significa che il sentimento di collera espresso da quelle votazioni sia sparito. La vittoria di Giorgia Meloni in Italia ne è la prova: il suo partito di estrema destra, Fratelli d’Italia, si è rifiutato di far parte del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi e ha vinto le elezioni.

La storia recente dimostra che i populisti antisistema hanno cavalcato una rabbia reale, ma non sono riusciti a fornire risposte adeguate una volta arrivati al governo. L’alternanza democratica finisce regolarmente per penalizzarli, a condizione che la democrazia sia rispettata. Nel clima attuale questa è tutt’altro che una garanzia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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