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La distruzione della diga di Kachovka frena la controffensiva ucraina

Una strada allagata a Cherson dopo l’esplosione della diga di Nova Kachovka, 6 giugno 2023. (Valentyna Gurova, Suspilne Ukraine/Getty Images)

Quando due contendenti in un conflitto si accusano reciprocamente di un’azione così rilevante come la distruzione della diga di Nova Kachovka, c’è un solo modo per avvicinarsi alla verità: capire chi ne trae beneficio.

Mosca e Kiev si incolpano a vicenda di avere fatto esplodere la diga, situata nella zona controllata dai russi. Il cedimento ha provocato il rilascio di grandi quantità d’acqua proveniente da un lago artificiale, con il risultato che la regione di Cherson, principale città riconquista dagli ucraini a novembre, è ormai coperta dall’acqua.

È una catastrofe umanitaria ed ecologica, nonché un atto molto grave. Vale la pena ricordare che le convenzioni di Ginevra vietano formalmente di colpire le dighe o le centrali nucleari, dunque potrebbe trattarsi di un crimine di guerra.

Guerra sempre più brutale
Questo sabotaggio ostacola la possibile offensiva ucraina in una regione dal grande valore strategico. Se davvero gli ucraini intendevano lanciare la loro attesa controffensiva nella regione di Cherson, ora le cose si complicano. L’inondazione della zona e lo stato del terreno nelle prossime settimane, infatti, non permettono più il passaggio di veicoli blindati e truppe.

Questa nuova realtà obbliga gli ucraini a dedicare parte delle loro risorse all’emergenza umanitaria e a rivedere i loro piani d’attacco. Da questo punto vista Kiev è chiaramente danneggiata dall’evento.

Ci saranno pressioni per trasformare la guerra nell’ennesimo “conflitto congelato”

Se davvero sono stati i russi ad aver fatto saltare la diga, come afferma con insistenza il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, allora siamo davanti a una nuova escalation del conflitto. Dall’inizio dell’invasione russa abbiamo assistito al ricatto sulle esportazioni di cereali, al “sequestro” di una centrale nucleare, agli attacchi deliberati contro abitazioni cilivi e alla distruzione di intere città.

Incapace di raggiungere il suo obiettivo iniziale di conquistare il potere a Kiev, la Russia conduce una guerra sempre più brutale. In questo caso la posta in gioco è innegabilmente alta. Vladimir Putin, infatti, non può permettersi di lasciare la minima possibilità di successo all’annunciata offensiva ucraina.

L’attacco dell’esercito ucraino, che secondo qualcuno è già cominciato nei giorni scorsi, ha assunto un’importanza tanto militare quanto politica. Rafforzati dalle armi occidentali e dall’addestramento di nuove truppe nei paesi della Nato, gli ucraini si preparano da settimane.

L’esercito di Kiev deve affrontare il muro della difesa russa lungo i circa mille chilometri della linea del fronte. Se la Russia dovesse riuscire a impedire la riconquista ucraina di una parte significativa dei territori occupati, ci sarà una forte pressione per trasformare la guerra in Ucraina nell’ennesimo “conflitto congelato”. È quello che ha proposto qualche giorno fa l’emissario cinese in Europa: un cessate il fuoco che manterrebbe le posizioni attuali.

Per Mosca questo è l’unico modo per consolidare le proprie conquiste, ma per Kiev si tratta di una soluzione inaccettabile, almeno fino a quando resterà una speranza anche minima di riconquistare con la forza i territori perduti. In questo contesto la distruzione parziale della diga sul Dnepr assume un significato particolare, perché cambia i parametri dell’offensiva ucraina. La riconquista è diventata un po’ più difficile, ma l’Ucraina sa di non avere scelta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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