Come sarebbe l’Europa rimodellata da Trump
Perché tanto odio? Per comprendere le ossessioni di Donald Trump basta leggere la trascrizione dell’intervista concessa al sito d’informazione Politico. L’intervista è dolorosa e incoerente. Il giornalista di Publico riesce a malapena a porre le sue domande, mentre il presidente statunitense ripete incessantemente gli stessi attacchi: contro un’Europa “debole” e “in declino”, contro un’Ucraina che non ha alcuna possibilità di vincere perché la Russia è troppo forte; contro Joe Biden, contro i migranti, contro il sindaco di Londra.
Non sarebbe così grave, se solo questa polemica disordinata non arrivasse all’indomani della pubblicazione della “Strategia di sicurezza nazionale”, un documento ufficiale che esprime in termini più coerenti lo stesso disgusto verso l’Europa di oggi manifestato da Trump.
A questo punto è inevitabile chiedersi: da dove viene questo rigetto, e quali sono le conseguenze strategiche per il futuro dell’Europa? Una parte della risposta è legata alle ossessioni di Trump negli Stati Uniti, che il presidente ricicla sull’altra sponda dell’Atlantico. Per esempio quella dei migranti rilasciati dai penitenziari congolesi per invadere l’Europa, come in passato dovevano invadere gli Stati Uniti. Nessun argomento razionale può opporsi a questa fantasia che ripete di continuo.
Ma c’è anche la questione della “debolezza”, che non risulta poi così assurda se ricordiamo che tutte le ultime amministrazioni statunitensi hanno invitato gli europei a “condividere il fardello”, ovvero a spendere di più per la propria difesa. Trump può vantarsi di essere stato il primo ad aver ottenuto dai paesi europei della Nato un impegno a dedicare il 5 per cento del pil alla difesa, anche se attraverso una serie di equilibrismi contabili.
Negli attacchi di Trump c’è senza dubbio una componente ideologica importante. L’unico leader europeo che il presidente statunitense cita come modello è Viktor Orbán: primo ministro ungherese, capo del governo più “illiberale” tra quelli dell’Unione europea, amico di Vladimir Putin e nemico degli aiuti all’Ucraina. Non è un caso, evidentemente, e a questo punto è lecito aspettarsi nuove ingerenze elettorali degli Stati Uniti.
Trump non si fa troppi scrupoli a scegliere i suoi candidati. Nell’intervista a Politico, si è vantato di aver fatto vincere il partito di Javier Milei in Argentina. Il suo sostegno a Orbán potrebbe rivelarsi decisivo ad aprile, quando il leader ungherese dovrà affrontare elezioni difficili.
Di fatto tutte le votazioni in programma nel futuro prossimo – in Ungheria ma anche in Francia – saranno anche un referendum sulla visione trumpiana dell’Europa. In questo senso è significativo che la strategia di sicurezza nazionale descriva in termini positivi l’ascesa dei partiti chiamati “patriottici”, un sinonimo di estrema destra.
L’obiettivo di Trump non è abbandonare l’Europa, ma rimodellare il continente perché non sia più un polo autonomo ma una regione vassalla, sotto la doppia influenza statunitense e russa. È lo stesso concetto che esprime con termini ancora più crudi Elon Musk quando chiede lo smantellamento dell’Unione europea.
In quest’ottica si inserisce anche la guerra in Ucraina. Ancora una volta Trump ha messo alle strette Volodymyr Zelenskyj, intimandogli di accettare prima di Natale il piano statunitense ispirato dai russi. Sarà un test decisivo per il rapporto tra un presidente degli Stati Uniti legato all’estrema destra e un’Europa chiamata a dimostrare di non essere poi così “debole”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)