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I figli dimenticati del terrore

Yazidi in fuga dal gruppo Stato islamico si dirigono verso il confine siriano, vicino al monte Sinjar, 10 agosto 2014. (Rodi Said, Reuters/Contrasto)

Quattro anni fa le forze del cosiddetto gruppo Stato islamico (Is) sono calate sulla catena montuosa del Sinjar, nell’Iraq nordoccidentale al confine con la Siria. La catena, e lo stesso monte Sinjar che le dà il nome, si staglia brulla sulle circostanti pianure alluvionali ed è stata a lungo oggetto di venerazione da parte degli esseri umani, facendo da sfondo a numerosi drammi della storia. Tutt’intorno ci sono alcuni dei più antichi insediamenti umani del mondo, alcuni dei quali risalgono a migliaia di anni fa.

Nell’agosto del 2014 il monte Sinjar ha assistito a una tragedia. In quel mese quasi seimila yazidi si sono rifugiati sulla montagna, che consideravano sacra, per scappare dai miliziani dell’Is. Agli occhi dei jihadisti, questi seguaci di una religione antica legata allo zoroastrismo sono “infedeli”. Quindi è consentito ucciderli e portare via le donne e i bambini come bottino di guerra.

Quell’agosto è successo proprio questo: quasi tutti gli uomini sono stati massacrati, mentre le donne e i bambini sono stati fatti prigionieri. Molte donne sono state ridotte in schiavitù, vendute e scambiate tra i combattenti dell’Is.

Bambini trasformati in soldati
Dietro questa tragedia se ne nasconde un’altra. Secondo un nuovo studio condotto e pubblicato dalle Nazioni Unite, i bambini erano quasi il 33 per cento delle persone catturate sulla montagna. L’obiettivo dell’Is era farne dei futuri combattenti o materiale di propaganda. In quest’ultimo caso potevano essere usati come elementi scenici nei video e nelle riviste dell’Is, impersonando i bambini innocenti che combattono anche quando gli adulti si rifiutano di farlo.

Durante la prigionia, questi bambini non sono mai stati trattati come tali. Secondo il rapporto dell’Onu, una volta che il gruppo Stato islamico “s’impossessava” di questi bambini, dopo averli catturati con la violenza sul monte Sinjar, oppure rapiti, prelevati o attirati con la promessa di una vita migliore, li indottrinava con vari metodi. In primo luogo erano esposti a frequenti scene di violenza, al punto da risultarne del tutto desensibilizzati.

Quando l’Is controllava ancora il territorio, i bambini erano incoraggiati ad assistere alle esecuzioni, alle fustigazioni e alle amputazioni eseguite in pubblico. Anche se a quanto pare questi episodi non si verificano più, è probabile che i miliziani usino dei video, comprese le uccisioni di civili musulmani per mano delle forze militari occidentali, per ottenere lo stesso effetto. Questo genere d’indottrinamento, che nel rapporto è definito “riprogrammazione emozionale”, è di cruciale importanza per rendere i bambini, non solo testimoni, ma anche partecipanti della violenza.

Naturalmente la partecipazione a questi episodi di violenza viene presentata come un onore che i bambini devono guadagnare, come un marchio di appartenenza. Per far sì che i minori desiderino effettivamente appartenere al gruppo vengono isolati da ogni altra influenza, al punto che gli unici denominatori morali che contano sono quelli stabiliti dagli adulti che li controllano. Questa tattica è stata ulteriormente perfezionata quando l’Is ha reclutato migliaia di insegnanti e li ha usati per indottrinare decine di migliaia di bambini che frequentavano le scuole governative.

Isolati, indotti a credere unicamente all’etica della violenza che etichetta gli altri come infedeli, i bambini crescono troppo in fretta e diventano docili soggetti pronti a ingrossare le fila della prossima generazione di militanti. Quello che non fanno l’Is e altre organizzazioni terroristiche, lo fa la guerra. Le migliaia di orfani, di famiglie distrutte o senza mezzi di sostentamento, rendono possibile un rifornimento continuo di bambini. Il lato dell’offerta è dunque costantemente alimentato da piccole anime che saranno trasformate in assassini rapaci e spietati.

Come sanno bene i pachistani, con le operazioni militari si possono eliminare i capi dei gruppi armati, si può strappare il controllo di un territorio o smantellare gli stati paralleli costruiti dai gruppi terroristici. Ma queste misure non bastano a eliminare il lavaggio del cervello a cui sono sottoposti i bambini rapiti, che diventano bombe a orologeria.

Rompere il ciclo del terrore
L’infanzia è già stata rubata ai figli del terrore, i loro corpi e le loro menti sono state a disposizione delle persone più orribili, coinvolte nei crimini più disumani. Se non saranno salvati, i bambini si trasformeranno in terroristi e infliggeranno ciò che è stato loro inflitto a una nuova generazione di bambini. Per rompere il ciclo del terrore è necessario intervenire.

Gli interventi di deradicalizzazione richiedono sostegno, investimenti e il riconoscimento del fatto che la “guerra al terrore” non potrà mai essere vinta solo con interventi militari e misure di sicurezza. Servono iniziative educative che usino le arene pubbliche come la televisione e la tecnologia dei cellulari per diffondere narrazioni che contrastino il terrorismo e che possano essere comprese dai bambini.

Invece di trattare il terrorismo come un tabù, i bambini dovrebbero imparare perché ha causato tanto dolore

In Pakistan, dove incombe una minaccia simile, è venuto il momento di inserire nei programmi scolastici delle lezioni contro il terrorismo. Come si insegna ai bambini la storia dei martiri morti difendendo il paese dagli interessi stranieri, così i bambini devono sapere dei massacri devastanti come quello commesso alla scuola pubblica dell’esercito a Peshawar nel dicembre del 2014.

Invece di trattare il terrorismo come un tabù, i bambini dovrebbero imparare perché ha causato tanto dolore a tante persone. I bambini a cui si insegna il rispetto e a commemorare le vittime del terrorismo avranno meno possibilità di diventare a loro volta terroristi e di lasciarsi coinvolgere negli stessi atti di violenza.

In Siria e in Iraq l’Is sembra essere stato respinto. Tuttavia i gruppi terroristici che sono stati sconfitti tendono a riapparire con nuovi nomi e nuovi leader pochi anni dopo. Non si hanno ancora notizie della maggior parte dei bambini rapiti sul monte Sinjar e in altri luoghi, la loro infanzia è sfumata e i loro corpi sono sospesi, in attesa del momento in cui potranno essere usati per realizzare gli scopi del terrore. È questo il destino dei figli dimenticati del terrore.

Questo articolo è uscito sul quotidiano pachistano Dawn con il titolo The children of terror. Traduzione di Giusy Muzzopappa.

Dal 5 al 7 ottobre Rafia Zakaria sarà al festival di Internazionale a Ferrara.

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