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Più di trecento migranti morti nei naufragi al largo di Lampedusa

La notte tra l’8 e il 9 febbraio sono naufragati tre gommoni oltre a quello alla deriva soccorso dalla marina militare italiana nel quale sono state trovate morte di ipotermia 29 persone. I migranti in viaggio erano più di 400, ne sono stati salvati un centinaio, gli altri sono dispersi

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Quanti morti servono ancora per spingerci a reagire?

I ventinove cadaveri portati a Lampedusa dalle motovedette della guardia costiera devono interrogare le nostre coscienze. Perché non sono morti affogati, ma di freddo. E non sono morti in attesa dei soccorsi, ma dopo, sui mezzi che li trasportavano a terra.

Al di là dell’indubbio coraggio degli uomini della guardia costiera, che hanno affrontato il mare forza 8 e onde alte come palazzi per andare a salvare i migranti, è probabilmente vero quello che ha detto la sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini: con l’operazione Mare nostrum tutte queste vittime non ci sarebbero state; fino all’anno scorso nel Mediterraneo c’erano più mezzi ed erano meglio attrezzati.

Ma queste vittime ci devono far riflettere anche perché il loro numero è molto più alto. Mentre soccorreva i 105 migranti – 29 dei quali sono poi morti – la guardia costiera coordinava le operazioni di salvataggio di altri due gommoni negli immediati paraggi. A bordo di quelle imbarcazioni sono state trovate rispettivamente due e sette persone, come si vede dalla foto di uno dei due gommoni.

“Normalmente, su gommoni di quel tipo in partenza dalla Libia viaggiano circa cento persone”, sottolinea l’ammiraglio Giovanni Pettorino, comandante dei reparti operativi della guardia costiera. Quindi altri duecento migranti mancherebbero all’appello.

Quante altre morti ci vorranno per provocare quel sussulto che ha spinto il 18 ottobre 2013 il governo italiano, all’epoca guidato da Enrico Letta, a lanciare l’operazione Mare nostrum, cioè la più grande operazione di salvataggio in mare di profughi della storia dell’umanità?

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