×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

Il mio Natale perfetto

Per Breiehagen, Getty Images

Ben ed io stavamo guardando la tv l’altra sera, quando è andato in onda uno degli spot dell’associazione Age UK, che si occupa di anziani. Poco prima, June e Leon del programma Gogglebox ci stavano raccontando del numero mostruosamente alto di anziani a cui capita di passare anche un mese di seguito senza parlare con nessuno. E alla fine June ha concluso: “Che cosa terribile essere soli a Natale”.

Dopo una breve pausa, Ben si è girato verso di me e ha detto in tono malinconico: “A me piacerebbe essere solo a Natale”. Ho cercato di non prendermela troppo (so che non lo pensa veramente) e di non rimproverarlo per avere fatto lo spiritoso (so che è sensibile al problema degli anziani soli), e così abbiamo riso. Il fatto è che in realtà non sono rimasta sorpresa: Ben ha sempre avuto qualche problema con il Natale, e sospetto che non sia il solo.

Mangiavamo l’arancia di cioccolato il pomeriggio di Natale e i bastoncini di cioccolato la sera, e mai il contrario. Era così e basta

Una volta ero così anch’io. A diciott’anni snobbavo il Natale: tutte quelle aspettative mi soffocavano e non sopportavo il clima di gioia infantile. Così, quando ho incontrato Ben ci siamo ritrovati a snobbarlo in due. Alla fine degli anni ottanta l’ironia non era ancora stata inventata, e così non potevamo sdrammatizzare indossando un maglione con la renna Rudolph. Non avevamo altra scelta che ignorare il Natale. Spesso a dicembre eravamo in tour negli Stati Uniti e volavamo a casa appena in tempo per fare un po’ di shopping e magari pranzare in famiglia il 25, ma non sempre.

Ho perfino scritto una canzone con un riferimento sarcastico al Natale, Come on home, in cui cantavo: “Every day’s like Christmas Day without you/ It’s cold and there’s nothing to do” (Ogni giorno è come il giorno di Natale senza te / fa freddo e non c’è niente da fare), che mi è quasi costata l’ostracismo della mia famiglia. “Oh no, Tracey non ha ancora fatto l’albero. Lei odia il Natale”, dicevano incrociando le braccia e fissandomi, mentre io – per anni – protestavo debolmente, insistendo che con quella canzone volevo solo scherzare.

I giorni di Natale a casa di Ben, al contrario, erano imprevedibili e incendiari

Ma quando sono arrivati i nostri figli è scattato qualcosa che mi ha riportato a un’impostazione automatica predefinita, e mi sono resa conto che non solo il Natale non mi era indifferente, ma che lo amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ho cominciato a ricreare nei minimi dettagli quelli della mia infanzia. Messi in moto da mia madre, erano affidabili, ripetitivi, rassicuranti – come ai bambini piacerebbe che fosse la vita – procedevano puntuali come un orario delle ferrovie svizzere.

Potevi rimettere l’orologio sulla consegna delle bevande natalizie (Advocaat, Tizer), la comparsa di una scatola di datteri Eat Me e l’arrivo di mio nonno in giacca, panciotto e coltellino tascabile, pronto a sbucciare una mela in un’unica spirale. Mangiavamo l’arancia di cioccolato il pomeriggio di Natale e i bastoncini di cioccolato la sera, e mai il contrario. Era così e basta.

I giorni di Natale a casa di Ben, al contrario, erano imprevedibili e incendiari. Spesso c’era un’atmosfera imbarazzata, i genitori divorziati si sforzavano di essere civili, figliastri e fratellastri si ritrovavano accalcati nella stessa stanza, la gente beveva e i malumori esplodevano.

Un anno finì addirittura con una scazzottata in cui un fratellastro diede una spinta al patrigno che cadde all’indietro facendo crollare l’albero di Natale. Un altro anno, nel tentativo di evitare la tensione del momento della consegna dei regali, si decise che ognuno poteva consegnare i regali ai familiari come e quando preferiva nel corso della giornata, in privato. Il risultato furono scambi imbronciati sul pianerottolo e una fiacca generale che era perfino peggio dei litigi.

Il bisogno di sgattaiolare via

Le storie di Ben sembravano brillanti e spassose quando me le raccontava. Be’, a posteriori lo sono sempre. Ma credo che quegli eventi l’abbiano turbato, lasciandolo con la sensazione che il Natale fosse un momento di grande tensione e turbolenza, e che la cosa migliore fosse affrontarlo nel modo più silenzioso e rapido possibile.

Anni di convivenza con me non lo hanno ancora del tutto guarito. Partecipa ai festeggiamenti e ha i suoi incarichi natalizi – fare la playlist musicale, preparare le domande del Quiz della famiglia Thorn per il giorno di Santo Stefano – e ultimamente ho notato che dopo pranzo si tiene in testa il cappellino di carta più a lungo di tutti gli altri, cosa che considero una specie di vittoria. Ma ci sarà sempre una parte di lui che sente il bisogno di sgattaiolare via per un’oretta e andare a sedersi alla sua scrivania, in una stanza silenziosa e in penombra, magari con un bicchiere di Calvados. Da solo.

Perfettamente felice.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è stato pubblicato da New Statesman.

pubblicità