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La carica del giardinaggio

Westend61/Getty Images

L’altro giorno Ben mi ha fatto una foto mentre ero in giardino e quando me l’ha spedita ho riso per tutto il pomeriggio.

L’aveva scattata attraverso la finestra della cucina, senza che me ne accorgessi, immortalandomi mentre non stavo né scavando, né piantando né ero in alcuna posa tipica da giardinaggio, bensì mentre me ne stavo accovacciata sulle ginocchia a fissare il terreno.

Se ci fosse stato un fumetto, la mia battuta sarebbe stata: “Coraggio!”. E questo perché non mi era mai capitato prima di aspettare l’arrivo della primavera in un simile stato d’animo, misto di euforia, impazienza e speranza.

Ogni giorno controllo da cima a fondo gli invasi in cerca di segnali di un’imminente nascita, poi rientro in casa e appunto tutto sul mio diario di giardinaggio, scrivendo quali semi voglio interrare, quali piante voglio comprare, dove andranno messe e infine che magnifico aspetto avrà il giardino.

L’arte di arrangiarsi
Gran parte dell’attività di giardinaggio avviene nella nostra mente: è lì che prende forma il giardino immaginario e ideale, più perfetto di qualsiasi cosa potremmo mai creare. Leggo Gardens Illustrated, vera goduria per orticoltori, con le sue pagine piene di foto di vasti appezzamenti coltivati in stile prateria – l’ultimo grido per gli appassionati – con distese di graminacee ondeggianti, grandi quantità di piante perenni e i semi che cadono in autunno. Poi cerco di ricreare qualcosa di simile nel mio pezzetto di terra a Londra.

Ciò che più mi è piaciuto della stagione di Gardeners’ World della scorsa estate è stato guardare i video girati dagli spettatori nei loro veri, e fortemente imperfetti, giardini. Quei video mi hanno ricordato che la maggior parte di noi deve arrangiarsi con ciò che ha e che, forse, in fin dei conti il vero divertimento sta proprio nel confrontarsi con i propri limiti.

Mi piace il fatto che sia un’attività prettamente individuale, solitaria e basata sulla creatività

Per esempio, c’era un uomo che aveva un giardino troppo piccolo e aveva risolto coltivando gli ortaggi sul tetto della sua rimessa; un altro, che viveva in un appartamento senza balcone, aveva riempito ogni angolo di casa usando centinaia piante; oppure una donna con disabilità alle braccia, che riusciva scavare e piantare usando i piedi e aveva adattato il suo giardino alle proprie necessità.

Amo il lato fai da te del giardinaggio. Mi piace il fatto che sia un’attività prettamente individuale, solitaria e basata sulla creatività: puoi fare ciò che vuoi e nessuno può impedirtelo, e poi non serve essere degli esperti. Si può riutilizzare praticamente tutto: la vaschetta del burro per far germogliare i semi, vecchi barattoli di salsa di pomodoro come vasetti per le piante, o una bacinella per creare un minilaghetto per piante acquatiche – insomma si può creare qualcosa dal nulla.

Un percorso prestabilito
Una delle grandi consolazioni è che il giardinaggio contiene un buon grado di prevedibilità. Sono le piante stesse a voler crescere, basterà dargli acqua, terra e luce e loro faranno il loro dovere. È rassicurante. Posso prevedere cosa accadrà: se pianto questo seme, il resto verrà da sé.

Nella mia vita non c’è nient’altro che mi garantisca una tale prospettiva, la sensazione del progredire delle cose lungo un percorso prestabilito.

Immagino che trascorrerò nuovamente gran parte di questo anno a casa e nel mio giardino, ma non lo so ancora per certo. Non credo che farò viaggi all’estero o tour organizzati né che ricomincerò tanto presto ad avere una vita sociale ma, di nuovo, non lo so ancora con certezza.

Nel frattempo, siamo in attesa: aspettiamo che Ben sia chiamato per la somministrazione del vaccino. Da quando è cominciata la pandemia, lui è stato classificato come individuo altamente vulnerabile, il che significa che da marzo viviamo praticamente in isolamento e che ormai è tra i primi della lista dei prossimi vaccinati. Eppure nemmeno questo ci dà alcuna garanzia tangibile. Quando avrà ricevuto la prima dose comincerà l’attesa per la seconda e poi dovremo aspettare ancora per vedere che tipo di immunizzazione gli garantirà una volta che sarà tornato fuori, nel mondo reale. A volte, nei momenti di sconforto, mi lascio prendere dalla preoccupazione, dalla paura di cosa potrebbe accadere se i vaccini messi a punto si dimostrassero meno efficaci di quanto sperato, ma poi mi rendo conto di quanto pensieri del genere non portino da nessuna parte e mi costringo ad accantonarli.

E allora pianto i miei primi semi di Rudbeckia hirta, li sistemo in piena luce sul davanzale della finestra di una camera da letto, poi faccio di nuovo un giro in giardino, dove spuntano i primi bucaneve e fanno capolino anche altri bulbi. Sto pensando di piantare una clematide in vaso, delle dalie in quell’angolo e qualcosa per sostituire le piante di Hemerocallis che stanno appassendo. Magari una pianta di gelsomino o un’altra di rose. Ci sono infinite possibilità, tante da far girare la testa, e quest’anno il giardino sarà fantastico. Dovrà esserlo, per forza.

(Traduzione di Mariachiara Benini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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