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La rivoluzione sardinista

Alamy Stock Photo

Sant’Antonio da Padova (1195-1231) era in realtà nato a Lisbona. Era discepolo di san Francesco d’Assisi ed è famoso per il suo sermone ai pesci i quali, secondo la leggenda, “sporsero tutti la loro testa fuori dall’acqua, e parvero guardare molto attentamente il volto di sant’Antonio”. Nel giorno che lo celebra, il 13 giugno, tutto il Portogallo festeggia grigliando sardine per strada.

Vado matta per le sardine grigliate ma quando sono stata in Portogallo, a febbraio, ogni portoghese a cui ho chiesto delle sardine mi ha detto: “Non puoi mangiarle fresche in questo periodo, non è la stagione. Nei ristoranti le servono ai turisti ma sono”, e qui inevitabilmente si disegnava sul loro viso una smorfia, “surgelate”. Non volendomi arrendere, ho rivolto la mia attenzione alle sardine in scatola, per le quali il Portogallo è altrettanto famoso.

Napoleone ha inventato un sacco di cose: l’Italia, l’idea di un’Europa unificata e l’egittologia. Ma anche inventato l’industria dell’inscatolamento. Offrì dodicimila franchi a chiunque riuscisse a trovare un metodo per preservare il cibo in modo che il suo esercito potesse trasportarlo nel corso delle campagne militari. Un pasticciere di nome Nicolas Appert ebbe l’idea di scaldare generi commestibili in vasi di vetro sigillati, cinquant’anni prima che Pasteur scoprisse i microbi che li fanno marcire. I britannici adattarono quest’idea ai contenitori in metallo, sigillandoli e saldandoli.

In mani esperte
Le sardine in scatola, economiche e ricche di omega 3, sono state un prodotto basilare per nutrire i soldati fino alla seconda guerra mondiale. Nel Regno Unito le mangiamo sul pane tostato all’ora del tè. In Francia sono servite come antipasti ancora nella loro confezione e sono acquistate in base al loro invecchiamento (quelle di quattro anni sono considerate le più succulente). Il mio fidanzato francese è un appassionato e ogni sei mesi capovolge le scatolette per meglio distribuire l’olio al loro interno.

L’industria del cibo in scatola portoghese ha conosciuto il suo apogeo all’inizio del ventesimo secolo. Centinaia di fabbriche esportavano sardine, sgombri e tonno dell’Atlantico in tutto il mondo. Ma negli anni settanta il settore è crollato quando le aziende francesi hanno cominciato a pescare in Marocco e Tunisia il pesce che vendevano poi inscatolato nel Mercato comune europeo, tagliando fuori i portoghesi, che non vi sarebbero entrati fino al 1986. I porti dei pescatori si svuotarono.

Una mattina d’inverno di un giorno feriale, Olhão, nell’Algarve, era silenziosa, le vele delle barche ammainate, con i mercati pieni di pesce ma senza sardine. Avevo un appuntamento alla Conserveira do Sul, una fabbrica che produce pesce in scatola vicino al piccolo porto dei pescatori.

“Mio nonno ha avviato quest’attività nel 1954”, mi ha detto Jorge Ferreira, il direttore. “All’epoca esistevano quaranta conservifici, oggi sono solo due”.

Mi ha fatto fare un giro dello stabilimento, spiegandomi il processo produttivo. Alcune file di donne stavano tagliando e preparando il pesce.

“Muovono le dita in maniera accurata e abile”, mi ha detto Jorge indicandomi i forni a vapore dove le sardine vengono cucinate prima di essere disposte manualmente nelle scatolette. In alcune fabbriche le sardine vengono preparate da macchine e cucinate durante il processo di sterilizzazione (a 120 gradi per 45 minuti) all’interno dei contenitori, ma secondo Jorge le sardine hanno un sapore migliore se vengono cotte prima.

Queste differenze nella preparazione non sono spiegate all’esterno delle confezioni. Ho chiesto a Jorge come fa un consumatore a capire la qualità delle sardine trovandosi di fronte a decine di marchi variopinti in un supermercato o in un negozio di prodotti tipici. Ha preso in mano una scatoletta e abbiamo dato una rapida occhiata ai simboli e ai numeri che identificano la specie ittica, l’area oceanica dove sono stati pescati, il produttore e il paese d’inscatolamento.

Sull’etichetta, mi ha spiegato, “potrebbe esserci il marchio del produttore ma anche del venditore al dettaglio o del distributore”. Alla Conserveira do Sul, per esempio, il pesce pescato può poi essere venduto con uno dei loro due marchi, Manna e Good boy, oppure con quello di un supermercato o di una marca straniera. La cosa crea confusione. Jorge era d’accordo: dal punto di vista di un produttore è anche frustrante. “Il pesce in scatola è un prodotto cieco. Non puoi vedere al suo interno”.

Ciononostante, il pesce in scatola si sta trasformando. Da alimento base della dispensa sta diventando un appetiser di alto livello. Gli spagnoli hanno una lunga tradizione di locali dove gustare tapas con prodotti conservati: polpi, cannolicchi, fegato di rana pescatrice, cozze affumicate e calamaretti nel loro inchiostro. L’idea si sta diffondendo anche a Londra e a New York.

Ultimamente Lisbona è diventata una meta turistica di massa: il centro è ormai territorio di Airbnb

Io e il mio fidanzato amante delle sardine abbiamo fatto un pellegrinaggio alla Conserveira de Lisboa, nella capitale portoghese, che dal 1930 conserva le sue decine di marche di pesce in scatola – “entrando nel negozio sembra di viaggiare indietro nel tempo”, si è entusiasmato Alex Ronan sul New York Times – e abbiamo acquistato sardine in olio d’oliva e polpo affumicato. Siamo andati alla Loja das Conservas, dove sono esposti i prodotti dei conservifici del Portogallo, selezionando svariate altre marche da provare.

Abbiamo scoperto un intero negozio che vende solo una marca di anguilla in scatola alla scapece. E poi abbiamo pranzato da Miss Can, una moderna conserva artigianale appena sotto al castello, con il logo a forma di sirena e i cui sgombri, merluzzi, tonno e sardine sono disponibili in “cinque personalità”: tradizionale, piccante, coraggiosa, creativa e patriota, a seconda della salsa di pomodoro, del limone, delle spezie o dei sottaceti aggiunti.

Ultimamente Lisbona è diventata una meta turistica di massa: il centro è ormai territorio di Airbnb, i bar sono pieni di viaggiatori che vengono qui il fine settimana con voli low-cost e i negozi di souvenir sono pieni di prodotti a base di sardine. Ma le riserve di sardine al largo delle coste portoghese stanno calando e il settore portoghese ha perso il certificato di sostenibilità assegnato dal Marine stewardship council. A Portimão, un’altra città della costa dell’Algarve, l’ultima fabbrica d’inscatolamento ha chiuso nel 1982. Oggi è un museo e contiene statue di malta di lavoratori davanti ai grandi recipienti dove un tempo defluivano le sardine. A volte anche il turismo può servire a preservare gli oggetti: sant’Antonio, a quanto pare, è anche il santo patrono di quelli smarriti.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è apparso nella rubrica Matters of taste della rivista Prospect.

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