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I monumenti fascisti restano in piedi

Palazzo della civiltà italiana, Roma, febbraio 2015. (Andreas Solaro, Afp)

Quando Benito Mussolini, alla fine degli anni trenta, si preparava a ospitare l’Esposizione universale del 1942 a Roma, commissionò la costruzione di un nuovo quartiere a sudest della città che chiamò Esposizione universale Roma (Eur), per mettere in mostra la rinnovata grandezza imperiale dell’Italia. Il fulcro del quartiere era il Palazzo della civiltà italiana, un’elegante meraviglia rettangolare con una facciata di archi astratti e file di statue neoclassiche alla base.

L’Esposizione universale fu annullata a causa della guerra, ma il palazzo, detto anche Colosseo quadrato, è ancora lì. Sopra c’è incisa una frase del discorso che Mussolini tenne nel 1935 per annunciare l’invasione dell’Etiopia, in cui descrive gli italiani come “un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”.

L’invasione e la sanguinosa occupazione che seguirono avrebbero poi portato all’accusa di crimini di guerra nei confronti del governo italiano. Quell’edificio, in altre parole, è il cimelio di una brutale aggressione fascista. Invece di essere disprezzato, in Italia è considerato un’icona dell’architettura modernista. Nel 2004 lo stato lo ha riconosciuto come sito di “interesse culturale”. Nel 2010 è stato restaurato parzialmente e cinque anni dopo la casa di moda Fendi ha trasferito lì la sua sede.

Era facile avere la sensazione, descritta da Italo Calvino, che il fascismo avesse colonizzato tutti gli spazi pubblici italiani

L’Italia, il primo stato fascista, ha avuto una lunga relazione con la politica di destra. Con l’elezione di Silvio Berlusconi nel 1994, l’Italia è stata anche il primo paese a riportare un partito neofascista al potere nell’ambito della coalizione di governo. Ma questo non basta a spiegare il fatto che gli italiani si sentono a loro agio nel vivere tra simboli fascisti. Dopotutto nel paese è nato il più grande movimento di resistenza al fascismo dell’Europa occidentale e il più forte Partito comunista del dopoguerra.

Fino al 2008 le coalizioni di centrosinistra hanno spesso ottenuto più del 40 per cento dei voti alle elezioni. E allora perché, mentre gli Stati Uniti hanno avviato un controverso processo di smantellamento dei monumenti del loro passato confederale, e la Francia si è liberata delle strade che portavano il nome del maresciallo collaborazionista Pétain, l’Italia ha lasciato i suoi monumenti fascisti lì dove sono senza discuterne?

Quando Mussolini nel 1922 prese il potere, era a capo di un nuovo movimento in un paese che aveva uno straordinario patrimonio culturale, e sapeva di aver bisogno di molti monumenti per lasciare nel paesaggio l’impronta dell’ideologia fascista. Progetti come il complesso sportivo del Foro Mussolini (ora Foro italico), a Roma, dovevano competere con quelli dei Medici e del Vaticano, mentre l’immagine del duce, come Mussolini veniva chiamato, vegliava sugli italiani con statue, fotografie negli uffici e manifesti alle fermate dei tram. Era facile avere la sensazione, descritta da Italo Calvino, che il fascismo avesse colonizzato tutti gli spazi pubblici italiani. “Ho passato i primi vent’anni della mia vita con la faccia di Mussolini sempre in vista”, ricordava lo scrittore.

Rieducazione
In Germania la legge contro l’apologia del nazismo, approvata nel 1949, che vieta il saluto nazista e altri rituali pubblici, ha facilitato l’eliminazione di molti simboli del terzo reich. In Italia non c’è stato un programma di rieducazione simile. Per le forze anglo-americane la priorità era stabilizzare il paese e limitare il potere in crescita del Partito comunista. Eliminare migliaia di ricordi del fascismo sarebbe stato poco pratico e politicamente imprudente. Dopo la guerra, i bollettini e i rapporti della commissione alleata di controllo consigliavano di distruggere i monumenti e i fregi più evidenti e “inestetici”, come i busti di Mussolini. Il resto poteva essere trasferito nei musei o ricoperto con un panno o con il compensato.

Questo stabilì un precedente. La legge Scelba del 1952, il cui scopo era vietare la ricostituzione del Partito fascista, lasciò nel vago altri aspetti. La Democrazia cristiana, il partito di governo, in cui militavano molti ex fascisti, non riteneva che i copiosi resti del regime fossero un problema, e quindi non prese mai nessuna seria iniziativa in proposito.

Questo significa che, quando Berlusconi portò al potere il Movimento sociale italiano, la sua riabilitazione del fascismo fu aiutata da una serie di luoghi di pellegrinaggio e monumenti ancora esistenti. Il luogo più famoso è Predappio, il paese dov’è nato Mussolini, dove si trova la cripta nella quale è stato sepolto e dove i negozi vendono magliette e altri oggetti con simboli fascisti e nazisti. La legge Mancino, approvata nel 1993, puntava a contrastare il risorgere della destra vietando la diffusione di espressioni di “odio etnico e razziale”, ma è stata applicata in modo non uniforme.

Nel 1994 vivevo a Roma e non di rado venivo svegliata dalle grida di “Heil Hitler!” e “Viva il duce!” che provenivano da un vicino pub. Tra il 2000 e il 2010, mentre Berlusconi andava e veniva dal governo, posti come Predappio sono diventati sempre più popolari, e i conservazionisti di tutti i colori politici hanno stretto alleanze con la destra tornata al potere per salvare i monumenti fascisti, che erano visti sempre più come parte integrante del patrimonio culturale italiano. Il Foro italico, come il Colosseo quadrato, è oggetto di speciale ammirazione.

Negli ultimi anni sono stati fatti alcuni timidi tentativi di analizzare il rapporto dell’Italia con i simboli fascisti

Nel 2014 l’allora presidente del consiglio Matteo Renzi, di centrosinistra, ha annunciato che Roma si sarebbe candidata a ospitare le Olimpiadi del 2024 al Foro italico, proprio davanti all’Apoteosi del fascismo, un dipinto che nel 1944 era stato coperto dagli alleati perché rappresenta il duce come un semidio. Sarebbe difficile immaginare Angela Merkel in piedi davanti a un quadro di Hitler in un’occasione simile.

Negli ultimi anni sono stati fatti alcuni timidi tentativi di analizzare il rapporto dell’Italia con i simboli fascisti. Nel 2012 Ettore Viri, il sindaco di destra di Affile, un comune in provincia di Roma, ha inaugurato un memoriale dedicato al generale Rodolfo Graziani, un collaboratore dei nazisti accusato di crimini di guerra, in un parco costruito con fondi approvati dalla giunta di centrosinistra. Dopo il clamore suscitato dall’iniziativa, la giunta regionale ha annullato il finanziamento. Di recente Viri è stato accusato di apologia del fascismo, ma il memoriale è rimasto dov’era.

A Predappio stanno costruendo un museo del fascismo. Alcuni considerano l’iniziativa, che riprende il modello del Centro di documentazione sulla storia del nazionalsocialismo di Monaco, un necessario esercizio di educazione civica (nel 2016 ho fatto parte della commissione di storici che ha valutato il progetto). Altri temono che costruirlo nel paese di origine di Mussolini alimenterà la nostalgia delle destre. La presidente della camera Laura Boldrini si sta impegnando per rimuovere le tracce più famose del fascismo. Nel 2015 ha proposto di togliere l’iscrizione con il nome di Mussolini dall’obelisco del Foro italico.

Molti hanno protestato dicendo che rovinerebbe un “capolavoro”. Boldrini ha citato la messa al bando dei simboli nazisti in Germania come un esempio da seguire, ma presto quel modello potrebbe essere messo alla prova. Alle elezioni legislative del 24 settembre Alternative für Deutschland (Afd) è stato il primo partito di estrema destra a ottenere dei seggi nel parlamento tedesco dal 1945. La destra tedesca, che non può sfruttare a suo vantaggio monumenti pubblici ricchi di carica emotiva, organizza i suoi raduni nell’ambito di eventi come i concerti di “rock di destra”. A meno che il partito non assuma una posizione forte contro i simboli del terzo reich, immagino che sia solo questione di tempo prima che ricompaiano.

In Italia, dove i simboli del fascismo non sono mai spariti, il rischio è diverso: visto che i monumenti fascisti sono trattati come semplici oggetti estetici non politicizzati, l’estrema destra può sfruttare la loro ideologia approfittando del fatto che tutti sono abituati a vederli. Dubito che le dipendenti di Fendi siano turbate dalle origini fasciste del Palazzo della civiltà italiana quando arrivano al lavoro, mentre il tacco dodici risuona sui pavimenti di marmo e di travertino, i materiali preferiti dal regime. Una volta qualcuno ha chiesto a Rosalia Vittorini, che presiede la sezione italiana dell’organizzazione conservazionista Docomomo, come si sentivano gli italiani a vivere tra le reliquie della dittatura. “Credete che ci pensino?”, ha risposto lei.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

In Italia molti hanno criticato le tesi della storica statunitense, che però spiega di non aver detto di demolire gli edifici fascisti.

Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2017 a pagina 38 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati.

L’originale era apparso sul settimanale statunitense The New Yorker.

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