È stata Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, a sorprendere tutti. Al termine di una fiaccolata, la ragazza di 24 anni, studente universitaria, ha preso la parola e ha fatto una cosa molto complicata: ha trasformato un dolore privato in una questione politica. Si è smarcata dal ruolo della vittima e ha assunto su di sé la responsabilità di un futuro cambiamento.

“Filippo non è un mostro, un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece qui la responsabilità c’è”, ha detto con consapevolezza, lasciando tutti senza fiato.

La morte di Giulia Cecchettin, uccisa da una ventina di coltellate dal suo ex ragazzo, Filippo Turetta, è stato l’ennesimo femminicidio dall’inizio dell’anno, ma ha aperto finalmente una breccia di dolore e commozione nell’opinione pubblica. Uno dei motivi, forse il più importante, è stata la voce di Elena Cecchettin, che ha raccontato la violenza e mostrato quello che bisognerebbe sapere: i femminicidi sono la punta dell’iceberg di violenze e sopraffazioni che colpiscono milioni di donne di qualsiasi classe sociale e ovunque nel mondo, che ognuna conosce e teme da quando è nata.

Doppia violenza
Una donna che subisce uno stupro a volte non reagisce. Per questo spesso non viene creduta o viene colpevolizzata. Ma la sua è una risposta involontaria dettata dall’istinto di sopravvivenza

I femminicidi non sono raptus, non succedono all’improvviso, come spiegano da anni le esperte e gli esperti. Sono preceduti da un crescendo di abusi fisici e psicologici, tentativi di manipolazione, ricatti, stalking, gaslighting, comportamenti ossessivi e controllanti che possono andare avanti per mesi o anni, e che sono perlopiù tollerati dalla società.

Come dice Elena Cecchettin, la violenza serve a ristabilire la gerarchia, che qualche donna ha pensato di mettere in discussione, è l’espressione di un sistema di potere millenario in crisi, ma che è ancora ben radicato nei comportamenti quotidiani.

Spesso, infine, le donne e le ragazze che chiedono aiuto non sono credute, i segnali di allarme che lanciano sono trascurati, fino agli esiti più drammatici. “Filippo le chiese di fermarsi con gli esami, è stato il primo campanello d’allarme”, racconta Elena Cecchettin.

Giulia Cecchettin è stata uccisa a pochi giorni dalla discussione della sua laurea in ingegneria biomedica all’università di Padova, un traguardo che era riuscita a raggiungere nonostante i molti problemi familiari causati dalla malattia della madre, morta sei mesi fa. Un obiettivo, quello della laurea, che aveva mandato in crisi Turetta, suo compagno di studi, secondo quanto riferito dai familiari della ragazza. Turetta non voleva che Cecchettin si laureasse prima di lui.

La scrittrice e femminista Lea Melandri nel suo Amore e violenza, il fattore molesto della civiltà (Bollati Boringhieri 2011) sottolinea: “Ci sono parentele insospettabili che molti non riconoscono o che preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è quella che lega l’amore all’odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte”.

Si distrugge per conservare, si uccide per quello che uomini e donne sono stati educati a chiamare “amore”, ma che amore non è. “Anziché limitarsi a invocare pene più severe per gli aggressori, forse sarebbe più sensato gettare uno sguardo in quelle zone della vita personale che hanno a che fare con gli affetti più intimi, con tutto ciò che ci è più familiare, ma non per questo più conosciuto. A uccidere, violentare, sottomettere, sono prevalentemente mariti, figli, padri, amanti incapaci di tollerare pareti domestiche troppo o troppo poco protettive, abbracci assillanti o abbandoni che lasciano scoperte fragilità maschili insospettate”, scrive Melandri.

Ma proprio mentre le donne sembrano avere raggiunto livelli inediti e consolidati di autonomia e di partecipazione nello spazio pubblico, si moltiplicano gli omicidi e le violenze contro di loro. Anche chi ha raggiunto livelli più alti di istruzione e finalmente hanno avuto accesso a un’educazione paritaria sembra ancora esposta alla ferocia delle violenza maschile, che vorrebbe riportare tutte indietro a secoli di subalternità e dipendenza.

La storica Vanessa Roghi ricorda che nel saggio Una stanza tutta per sé la scrittrice Virginia Woolf riflette sulla rabbia degli uomini quando scrivono di donne e “arriva alla conclusione che quello che fa una donna che studia, scrive, o semplicemente esprime uno sguardo diverso e autonomo è di togliere all’uomo che le sta accanto lo specchio in cui riflettersi”.

È per questo che spesso proprio le donne più autonome possono essere vittime di violenze efferate: sono i loro “no” a innescare la rabbia, rompendo un patto di sottomissione durato millenni. “Perciò è così importante, per un patriarca il quale deve conquistare, il quale deve governare, la possibilità di sentire che moltissime persone, la metà degli umani, sono per natura inferiori a lui. Anzi deve essere questa una delle fonti principali del suo potere”, scrive Woolf in quello che è considerato un classico del femminismo.

Anche nell’epoca in cui il femminismo è diffuso e molteplice, addirittura mainstream, la violenza non si ferma e tutte le battaglie sembrano per un attimo essere state inutili, davanti a una ragazza di 22 anni uccisa a coltellate. Ma in questo momento di spaesamento appare più nitido il fatto che il cambiamento dev’essere radicale, non ci può essere nessuna gradualità. Non si tratta di emendare o riformare qualcosa, ma di cambiare tutto.

“Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto”, ha concluso Elena Cecchettin, citando una poesia diventata virale dell’attivista peruviana Cristina Torres Cáceres. Ma la ragazza è stata sommersa di insulti.

Nell’ultimo anno l’attuale governo ha diminuito del 70 per cento i fondi stanziati per la prevenzione della violenza di genere

Il consigliere della regione Veneto, Stefano Valdegamberi, eletto nella lista Zaia presidente e poi passato nel gruppo misto, ha accusato Elena Cecchettin di essere “ideologica” e poi ha mostrato delle immagini prese dal suo profilo Facebook, scrivendo che “esalta simboli di satanismo”.

Intanto, la prima presidente del consiglio donna in Italia, Giorgia Meloni, ha promesso una legge e più investimenti per progetti di prevenzione, mentre il ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara ha detto che saranno approvate nuove linee guida per promuovere nelle scuole il contrasto alla violenza di genere. Ma le associazioni che si occupano di questo fanno notare che nell’ultimo anno i fondi stanziati da governo di destra guidato da Meloni per questo tipo di attività sono stati ridotti del 70 per cento.

“Nonostante l’aumento di fondi registrato nell’ultimo decennio, il numero delle donne uccise da uomini in ambito familiare è rimasto sostanzialmente stabile nel tempo. Questo suggerisce l’inadeguatezza delle politiche di antiviolenza adottate”, è scritto nell’ultimo rapporto dell’ong ActionAid Prevenzione sottocosto, presentato il 13 novembre. Sono quasi sette milioni le donne che nel corso della loro vita hanno subìto una forma di violenza fisica, più di due milioni sono state vittime di stalking, milioni hanno dovuto fare i conti con abusi psicologici o economici, secondo l’Istat.

Secondo ActionAid, nei dieci anni successivi all’approvazione della legge 119/2013, le risorse stanziate contro la violenza sulle donne sono aumentate: tra il 2020 e il 2023 sono stati stanziati circa 248,8 milioni di euro. Ma di questi, solo il 12 per cento è stato destinato alla prevenzione. “E per gli interventi di educazione e sensibilizzazione che hanno l’obiettivo di scardinare norme e comportamenti sociali che producono e riproducono la violenza è stato stanziato solo il 5,6 per cento rispetto al totale dei fondi antiviolenza del triennio”.

Secondo il Gender social norm index delle Nazioni Unite, che misura stereotipi e convinzioni che producono diseguaglianze di genere, più di un quarto della popolazione mondiale ritiene giustificabile che un uomo picchi la compagna.

L’Italia ha indici particolarmente preoccupanti: il 61,5 per cento della popolazione nutre pregiudizi contro le donne e il 45 per cento ha convinzioni che possono condurre a giustificare la violenza fisica, sessuale e psicologica da parte del partner.

In confronto, negli anni la situazione in Spagna è migliorata: il 50,7 per cento della popolazione ha pregiudizi e il 29 per cento giustifica la violenza. “Solo un lavoro culturale che contrasti le consuetudini e i modelli di violenza contro le donne e le ragazze può quindi invertire la rotta”, sostiene il rapporto di ActionAid. Ma nell’ultimo anno l’attuale governo ha diminuito del 70 per cento i fondi stanziati per la prevenzione della violenza di genere: “Si è passati dagli oltre diciassette milioni di euro del 2022 ai cinque milioni per il 2023”. Osservare un minuto di silenzio non basta. Ha ragione Elena Cecchettin: c’è da rifare tutto e il più in fretta possibile.

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