30 luglio 2015 10:58

Il 16 luglio la temperatura a Kuwait City è arrivata 50 gradi. Per quanto caldissimo, non è stato un record – che era stato raggiunto l’estate scorsa quando aveva superato i 52 gradi. Tra giugno e agosto la temperatura media di giorno è di circa 44 gradi. In questi soffocanti mesi estivi, la maggior parte dei kuwaitiani si rifugia in uffici e case dotate di aria condizionata, da dove escono solo per andare in centri commerciali con aria condizionata guidando automobili con aria condizionata. In una città praticamente priva di spazi esterni ombreggiati, il centro commerciale è l’unico spazio pubblico dove le persone possono fare una passeggiata.

Sharifa Alshalfan, architetta di Kuwait City, spiega che i kuwaitiani trascorrono tutto il loro tempo al chiuso. “È quasi come se l’esterno non esistesse”, dice. “È questa la mentalità della gente, qui”.

È vero che Kuwait City è una delle più calde città del mondo. In media l’estate è più rovente qui che nella città desertica di Timbuctù, ai margini del Sahara. È però anche una città molto ricca – la moderna Kuwait City è edificata sui soldi del petrolio – ed è per questo che la maggior parte dei kuwaitiani non soffre davvero il caldo; possono permettersi di evitarlo. Di solito sono i più poveri, molti dei quali immigrati dal sudest asiatico, che Alshalfan vede ripararsi con ombrelli per strada o prendere i mezzi pubblici.

Un’atmosfera opprimente

I kuwaitiani sono convinti di vivere nella città più calda del mondo, ma c’è almeno un altro posto che potrebbe superarla – se non per il record di temperatura, di sicuro per l’impatto del caldo sulla popolazione.

Una tempesta di sabbia ad Ahvaz, in Iran, il 13 aprile 2011. (Mohammed Reza Dehdari, Afp)

Nella città iraniana di Ahvaz, nella provincia petrolifera del Khuzestan, a volte la temperatura supera i 50 a luglio. E non è tanto il caldo, ma l’inquinamento, a rendere impossibile la vita al milione e mezzo di abitanti di Ahvaz.

Il caldo aggrava i problemi causati dall’inquinamento e ne fanno le spese gli abitanti più poveri

Decine di migliaia di persone sono state soccorse per colpi di calore o disidratazione. In precedenza la città occupava il primo posto nella lista dei luoghi con la peggiore qualità dell’aria contenuta nel rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Le emissioni delle fabbriche, i gas di scarico delle automobili e le tempeste di sabbia si combinano per creare un’atmosfera opprimente: di giorno l’aria può apparire quasi color seppia. Solo quando è buio la città, illuminata dalle luci al neon e pervasa dai profumi dei cibi preparati in strada, si rianima.

Il caldo tuttavia aggrava i problemi causati dall’inquinamento. Secondo la Banca mondiale, è già difficile respirare in alcune delle più grandi città del Medio Oriente, e da un recente rapporto intitolato Turn down the heat, emerge che la situazione è destinata a peggiorare a causa del cambiamento climatico – anche se servirebbero proiezioni più accurate. I dati non ci dicono di preciso quale sia l’impatto dell’intossicante combinazione tra caldo estremo e inquinamento dell’aria sugli abitanti di Ahvaz o di altre città di paesi a medio o basso reddito, ma sappiamo che sarà peggiore per chi è troppo povero per lasciare le città.

Al di là dei grafici, sono molte le città dove l’altissima temperatura provoca decessi tra gli abitanti. A Karachi, in Pakistan, il mese scorso il caldo ha ucciso 780 persone, e Delhi, in India, ha registrato in picco nei ricoveri ospedalieri per colpi di calore a maggio, quando la temperatura ha superato i 45 gradi. Forse tante persone sono state colpite perché vivono in condizioni terribili. A Karachi, dove nel 2013 abitavano circa 24 milioni di persone, in media un’abitazione ospita sette persone, contro le due di Londra.

A Karachi, in Pakistan, il 25 giugno 2015. (Akhtar Soomro, Reuters/Contrasto)

Potrebbe essere quasi impossibile prevedere con precisione l’impatto del caldo estremo sulle città in India e Pakistan, come suggerisce Arpana Verna, un’esperta di riscaldamento urbano presso l’università di Manchester. “Qui nel Regno Unito possiamo monitorare i decessi e registrare in modo adeguato le temperature record, ma non è possibile fare altrettanto in alcuni dei paesi a medio e basso reddito dove i dati non sono disponibili”, afferma. “Inoltre, se si vogliono capire altri problemi legati alla salute, come i colpi di calore, basati su dati raccolti in ospedale o dai medici di base in modo adeguato, le valutazioni sono ancora meno affidabili”.

Le cifre ufficiali possono essere più basse del reale, ma sono comunque destinate ad aumentare per effetto del cambiamento climatico. Uno studio del 2015 prevede che nelle città indiane il numero di decessi legati al caldo raddoppierà entro la fine del secolo, a causa di un aumento della temperatura estiva di 3 gradi. Da un altro studio emerge che i decessi a Seoul sono aumentati circa dell’8 per cento nei giorni in cui si verificano ondate di caldo, e che le persone più a rischio sono quelle anziane o senza istruzione.

Tendenze simili sono state osservate a São Paulo, in Brasile, dove il 2014 è stato l’anno più secco e caldo della sua storia. Secondo Verma, che è consulente nel progetto “Città salubri” dell’Oms, alcune delle disparità dipendono dal fatto che gli abitanti più poveri della città brasilianai rimangono intrappolate nel caldo del centro urbano. “Gli abitanti più ricchi vivono in periferia, dove la sera fa più fresco”, afferma. Chi ha un reddito più basso, invece, spesso vive e lavora nelle zone più calde e inquinate di São Paulo. Secondo Verma, per proteggere le fasce più vulnerabili della società è fondamentale migliorare la pianificazione urbana.

Condividere informazioni tra città potrebbe essere la chiave per gestire il problema delle temperature più estreme

Perfino nelle città ricche una pianificazione urbana non adeguata può esacerbare gli effetti del caldo. A Kuwait City, la prevalenza di cemento e asfalto provoca un aumento delle temperature nel pomeriggio, quando le superfici dure cominciano a diffondere il caldo assorbito nel corso della mattina. Come dimostra la ricerca condotta dalla stessa Alshafan per la London school of economics, i progetti della moderna Kuwait City sono stati realizzati negli anni cinquanta da professionisti stranieri senza alcuna esperienza o valutazione degli effetti del clima.

Edifici dalla forma più compatta avrebbero prodotto più ombra, ma la città è più o meno la stessa di cinquant’anni fa: si espande a macchia d’olio ed è priva di vegetazione rinfrescante. E la cosa peggiore è che gli abitanti sono costretti a usare le automobili per svolgere le commissioni più insignificanti. “La città è progettata in modo tale da costringerci a usare sempre l’automobile”, spiega Alshalfan. “A Londra raggiungo la stazione della metropolitana a piedi in dieci minuti e lì vicino c’è un minimarket, mentre qui per fare le stesse cose dovrei prendere l’auto, perché i quartieri sono divisi da autostrade”. Inutile sottolineare quanto questo sia dannoso in termini di emissioni di anidride carbonica e per il clima globale.

Città resilienti

Il contrario accade a Melbourne, dove non si piantano solo alberi, ma vere e proprie “foreste urbane” per affrontare il problema delle temperature sempre più alte. L’assessore all’ambiente dell’amministrazione cittadina Arron Wood spiega: “Il nostro obiettivo è raddoppiare l’estensione delle foreste, passando nei prossimi vent’anni dal 22 per cento al 40 per cento, e sappiamo in base ad alcune ricerche che questo porterà a un abbassamento della temperatura in città di circa quattro gradi”.

Di recente in città si sono incontrati rappresentanti delle amministrazioni locali provenienti da tutta l’Australia e la Nuova Zelanda per condividere le scoperte relative alla sua strategia di riforestazione urbana e, in quanto parte della rete delle “cento città resilienti” creata dalla Rockefeller foundation, Melbourne sta sviluppando legami con altre città a livello globale. Secondo Wood, condividere informazioni tra città potrebbe essere la chiave per gestire il problema delle temperature più estreme.

A Melbourne, in Australia, il 21 giugno 2015. (Michael Dodge, Getty Images)

Nel mese di gennaio, la temperatura media di Melbourne di giorno è di 26 gradi. L’anno scorso, la città ha registrato per quattro giorni di fila la temperatura record di 40 gradi. In generale, sono stati registrati cali nelle vendite e aumenti nei livelli di criminalità e di aggressioni in corrispondenza con temperature estreme, oltre a picchi dei ricoveri ospedalieri e di decessi provocati dal caldo.

Nel 2009 si sono verificati 374 decessi provocati dal caldo nei cinque giorni di caldo estremo sfociati nei roghi del “sabato nero”. Come in altri paesi, i gruppi più svantaggiati sono anche quelli maggiormente colpiti. Quando le temperature aumentano, le autorità adesso aprono gratuitamente le piscine della città e altre aree fresche per i senza tetto.

Tutto questo in una città che, secondo gli standard globali – o anche secondo quelli australiani – non è poi così calda. D’altro canto, Melbourne dimostra alla perfezione quello che gli scienziati definiscono “effetto isola di calore urbana”, ossia il fatto che il centro densamente edificato è nel migliore dei casi più caldo di 4-7 gradi delle periferie verdi.

La maggior parte delle ricerche sul caldo estremo in ambiente urbano citano questo fenomeno. Tuttavia, le cose non sono così lineari. Uno studio del 2014 su 65 città del Nordamerica e pubblicato sulla rivista Nature ha rilevato come molto dipenda dal clima complessivo. In climi più umidi, le superfici più “irregolari” e ricche di vegetazione nelle circostanti aree rurali tendono a dissipare meglio il calore, mentre nei climi più secchi, le superfici più armoniose e artificiali delle città disperdono il calore con maggiore efficienza. Questo significa che alcuni centri urbani in aree molto secche potrebbero non essere più caldi – o perfino essere più freschi – dei dintorni rurali.

Il caldo feroce è talmente radicato nella coscienza della città, che perfino nei mesi più freschi dell’anno la maggior parte degli abitanti è riluttante a trascorrere del tempo all’aperto

Questo potrebbe contribuire a spiegare l’assenza di un’evidente effetto isola di calore urbana a Kuwait City? Se è vero che lo studio di Nature prende in considerazione solo città statunitensi, il suo autore principale, Lei Zhao, ritiene che le sue conclusioni possono essere valide per le città di altre aree del mondo. Certo, i kuwaitiani non saranno confortati sapendo che la loro città ha le stesse temperature dei dintorni già soffocanti.

Il caldo feroce è talmente radicato nella coscienza della città, che perfino nei mesi più freschi dell’anno la maggior parte degli abitanti è riluttante a trascorrere del tempo all’aperto. In quanto architetta Alshalfan osserva spesso questo dato nelle richieste dei suoi clienti. “Le richieste che riceviamo si riferiscono soprattutto a spazi al chiuso, perciò se suggeriamo un cortile o un giardino, ci risponderanno ‘No, no, no, questo servirebbe solo a raccogliere polvere e sarebbe uno spreco di terra, perciò chiudiamo tutto’. È diventato un aspetto culturale, e questo è spiacevole”.

In un mondo che si sta riscaldando, non è probabile che i kuwaitiani trascorreranno più tempo all’aperto. Secondo il rapporto Turn down the heat, se riusciamo a limitare l’aumento della temperatura globale a 2 gradi il numero di giorni estremamente caldi in alcune aree del Medio Oriente e del Nordafrica potrebbe stabilizzarsi nei prossimi 40 anni. Tuttavia, con un aumento di 4 gradi, questi giorni si faranno sempre più frequenti entro la fine del secolo, e alcune capitali di queste aree potrebbero soffocare per più di 115 giorni all’anno.

(Questo articolo è uscito su The Guardian a firma di Hayley Birch. Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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