03 marzo 2016 17:44

Nel 2001 l’Argentina aveva un debito pubblico da 82 miliardi di dollari e più di 14 anni dopo, il paese sta ancora cercando di sistemare le cose. Il 29 febbraio Buenos Aires ha accettato di pagare un saldo da 4,65 miliardi di dollari a quattro dei suoi principali creditori: quelli che avevano rifiutato di essere ripagati delle perdite con nuovi investimenti sul debito nel 2005 e nel 2010, preferendo invece fare causa all’Argentina presso un tribunale di New York, per riavere la somma investita più gli interessi.

Fino a poco tempo fa, l’Argentina si era rifiutata di negoziare con questi creditori, sostenendo di non essere in grado di offrire condizioni più generose di quelle offerte in passato agli altri obbligazionisti. Ma cosa è cambiato nel frattempo?

Durante la ristrutturazione del debito, il 93 per cento dei creditori aveva acconsentito a cambiare le proprie obbligazioni “insolventi” con nuove obbligazioni, accettando una riduzione degli interessi del 65 per cento. Senza farsi scoraggiare, un gruppo di creditori ha presentato il suo caso a un giudice di New York, Thomas Griesa, che ha ordinato all’Argentina di ripagare le obbligazioni.

Il governo argentino, all’epoca guidato da Cristina Fernández de Kirchner, si è rifiutato. Nel 2012, in un tentativo di costribgere l’Argentina ad aprire una trattativa, Griesa ha impedito al paese di pagare i creditori che avevano accettato la ristrutturazione, fino a quando non avesse trovato un accordo con i creditori che non avevano accettato le nuove condizioni. La decisione ha fatto infuriare Fernández, che ha definito “senile” il giudice e “avvoltoi” i creditori statunitensi. Rifiutandosi di pagare i creditori statunitensi, e incapace di pagare gli altri obbligazionisti, l’Argentina è andata di nuovo in default nel 2014.

La svolta di Macri

Lo scorso novembre l’Argentina ha eletto come nuovo presidente Mauricio Macri. Il primo presidente non peronista a occupare la Casa Rosada negli ultimi 16 anni, ha promesso di normalizzare l’economia argentina.

Il 1 febbraio i funzionari del ministero delle finanze hanno aperto dei negoziati a New York, nel tentativo di raggiungere un accordo. Ci sono stati rapidi progressi. Il 2 febbraio un gruppo di obbligazionisti italiani ha accettato un’offerta da 1,35 miliardi di dollari. Il 17 febbraio due fondi speculativi, Montreux Capital ed Em Ltd, si sono accordati per 1,1 miliardi di dollari. Ma è stato il quarto e più consistente gruppo di creditori che ha rappresentato il passo in avanti più significativo. L’accordo è stato importante: il saldo da 4,65 miliardi di dollari pattuito equivale a una svalutazione di appena il 25 per cento rispetto alle condizioni, molto più vantaggiose, offerte ai creditori tra 2005 e 2010.

Macri sostiene che si tratta di un prezzo che vale la pena pagare. Fernández ha lasciato l’economia argentina in condizioni disastrose: nel 2015 il deficit fiscale era del 5,8 per cento e l’inflazione si attestava intorno al 30 per cento. Sottoscrivendo prestiti nei mercati creditizi internazionali, Macri potrà affrontare entrambe le questioni. Finora la banca centrale è stata obbligata a stampare moneta per sopperire ai buchi di bilancio, facendo aumentare l’inflazione. Presto il governo sarà quindi in grado di usare i prestiti per colmare i buchi di bilancio. Questo garantirà a Macri più tempo per tagliare le spese, rendendo meno urgente una severa riforma fiscale, che potrebbe colpire l’occupazione e la crescita. La ripresa economica argentina avrà bisogno di tempo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo di J.R.A. è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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