13 gennaio 2014 07:00

Ariel Sharon sarà sepolto il 13 gennaio. Yitzhak Rabin è stato assassinato 18 anni fa. I due leader politici e militari israeliani che alla fine si erano convinti della necessità di arrivare alla coesistenza di Israele e Palestina (e che avrebbero potuto realizzarla) sono morti.

I negoziati di pace rilanciati dal segretario di stato americano John Kerry non avanzano, ma per quanto la situazione appaia bloccata i diplomatici arabi e occidentali non escludono la possibilità di una svolta sostanziale.

Può sembrare paradossale, ma il primo motivo di questa apertura è legato alla volontà degli Stati Uniti di disimpegnarsi dal Medio Oriente. Washington non ha più interessi strategici da difendere nella regione da quando la scoperta di grandi riserve di gas di scisto le ha regalato la prospettiva di un’indipendenza energetica, e ha deciso di concentrare gli sforzi sull’Asia per sorvegliare la crescita della Cina. Per questo motivo gli Stati Uniti vogliono arrivare a un compromesso sul nucleare con l’Iran e spingere israeliani e palestinesi verso un accordo definitivo. Questo sviluppo non è sfuggito ai leader israeliani, ormai consapevoli che in futuro non potranno più contare sull’appoggio incondizionato di Washington, chiunque sia il successore di Obama.

Un’altra causa dell’apertura di uno spiraglio nella questione mediorientale è data dalla situazione attuale del mondo arabo, che costringe i palestinesi a valutare concessioni finora inimmaginabili. Siria, Egitto, Iraq e Libano sprofondano in un caos militare e politico, e in questo momento nessun paese arabo potrebbe mai partecipare a una guerra contro Israele. Non soltanto i palestinesi sono soli, ma il paesaggio regionale è stato radicalmente modificato dall’intensificarsi dello scontro tra sunniti e sciiti.

Il mondo arabo è infatti scosso da una guerra di religione che si allarga giorno dopo giorno, e che tra l’altro è all’origine della lotta tra Iran e Arabia Saudita per il controllo del Medio Oriente dopo l’allontanamento degli Stati Uniti. Il conflitto mediorientale non è più tanto israelo-palestinese quanto islamo-islamico, e tra lo stato ebraico e i paesi sunniti esiste ormai una convergenza di interessi (e a volte una chiara alleanza) nata dal timore dell’Iran e dell’asse sciita.

La maggioranza della Lega araba è più che mai incline a sostenere gli sforzi verso una soluzione al conflitto israelo-palestinese, e nel frattempo, nonostante la loro debolezza nel contesto regionale, i palestinesi sono sempre più forti all’Assemblea generale dell’Onu, perché il costante avanzamento della colonizzazione israeliana gli garantisce l’appoggio della comunità internazionale.

L’isolamento di Israele alle Nazioni unite cresce di pari passo. Se i leader israeliani non ammorbidiranno le loro posizioni, il paese potrebbe andare incontro a reali minacce di sanzioni economiche. In molti sensi, insomma, l’evoluzione regionale sembra portare verso un compromesso. Il problema è che raramente la ragione fa la storia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it