01 marzo 2013 15:04

Sono passati quasi dieci anni da quando ho smesso di andare in ufficio ogni giorno. All’epoca lavoravo per un’altra rivista online e ai miei superiori non importava come lavoravo: bastava che portassi a termine quel che c’era da fare.

All’inizio, come molti, ho cominciato a lavorare da casa perché ero pigro: evitando il viaggio di un’ora fino in redazione, mi concedevo più tempo per dormire e per girarmi i pollici. E senza nessuno che controllasse, bisogna dire che i pollici me li giravo un bel po’.

Ma presto mi sono reso conto che, nonostante le mie intenzioni, il lavoro da casa mi rendeva più produttivo. Senza le distrazioni del posto di lavoro (ascoltare le telefonate degli altri, chiacchierare con l’addetta alla reception, decidere dove e con chi andare a pranzo), potevo trovare le notizie e scrivere molto più velocemente.

Inoltre, stando a casa, potevo evitare gli impegni lavorativi senza senso. Per esempio potevo presentarmi a una teleconferenza, togliere l’audio e dedicare quelle ore a cose più importanti.

Quando dico che lavoro da casa, in genere il mio interlocutore arriva a una conclusione: che sono disoccupato o sottoccupato, e sto solo temporeggiando in attesa di trovare un posto vero. Oppure che ho una dedizione monacale e maniacale per il mio mestiere, che si pensa sia indispensabile per un telelavoro efficace.

La verità è un’altra. Mi sono reso conto che, quando si capisce come fare, il lavoro da casa è positivo da quasi ogni punto di vista. In questo modo posso lavorare e vivere meglio, essere un collaboratore più produttivo e un marito e un padre non proprio terribile.

Forse voi lavorate in modo diverso. Magari riuscite a farvi ispirare al meglio conversando su

Downton Abbey insieme ai vostri colleghi. Va bene così. Ma il punto, e non si tratta certo di una novità, è che ognuno lavora alla sua maniera. Qualunque organizzazione che faccia dipendere il suo successo dalla massimizzazione della produttività della sua manodopera dovrebbe concedere un certo grado di flessibilità ai suoi dipendenti.

Arriviamo così al ridicolo divieto imposto di recente da Yahoo sul telelavoro. La settimana scorsa Kara Swisher di All Things D ha scritto che Marissa Mayer, la nuova amministratrice delegata di Yahoo, che al momento si trova in serie difficoltà, costringerà centinaia di telelavoratori a trasferirsi in sede.

In un promemoria recuperato da Swisher, la direttrice delle risorse umane dell’azienda autorizza i dipendenti a restare a casa “eccezionalmente”, per “aspettare l’elettricista”, Ma per il resto impone a tutti gli yahoos di esporsi “alle interazioni e alle esperienze che risultano possibili solo nei nostri uffici”.

“La velocità e la qualità sono spesso sacrificate quando lavoriamo da casa”, continua il testo, “dobbiamo essere un solo Yahoo, e per farlo bisogna stare fisicamente nello stesso luogo”.

Marissa Mayer si pentirà di questa decisione miope, poco amichevole e tanto ottusa da farmi pensare che dipenda dal troppo tempo che ha passato in sede facendo la dirigente (in fondo Mayer ha fatto aprire accanto al suo ufficio un nido a cui affidare il figlio appena nato).

Il problema non è solo che questa politica annulla del tutto i vantaggi del lavoro da casa. Molti studi hanno dimostrato che chi non è costretto a lavorare in ufficio tende a essere più produttivo.

Nel corso di un’indagine pubblicata questo mese dai ricercatori di Stanford è stato osservato che quando i dipendenti dei call center cinesi potevano lavorare da casa le loro prestazioni aumentavano del 13 per cento. Alla luce di questo risultato, è probabile che il recente divieto di Yahoo costringa i telelavoratori a modificare la loro vita lavorativa in un modo che ridurrà la loro produttività.

La nuova norma contrasta inoltre con la politica di quasi tutte le altre aziende high tech della Silicon Valley, che non impongono regole sul lavoro da casa e con cui Yahoo è in competizione per il reclutamento di talenti.

Il problema più grave di questo divieto è che ignora evidentemente come funziona il lavoro creativo. A quanto pare, Marissa Mayer ha una grande dedizione al lavoro e all’ufficio. Ammiratori e detrattori la definiscono una stacanovista, una donna che non si è fatta strada solo grazie al suo talento ma anche lavorando più a lungo di quasi tutti gli altri.

Yahoo è un’azienda che si occupa di internet e di mezzi di comunicazione di massa e il suo personale pullula di ingegneri, designer, scrittori e redattori: persone che non solo possono lavorare fuori sede, ma che potrebbero considerare il lavoro da casa un modo migliore di svolgere le proprie mansioni. Questa decisione lascia pensare che Mayer non conosca uno dei concetti fondamentali della gestione della manodopera: ognuno lavora a modo suo e certe attività sono inibite e non migliorate dal tempo trascorso in ufficio.

Il divieto di lavorare da casa indica anche che Mayer non sa misurare il rendimento dei suoi dipendenti. Swisher cita una fonte secondo cui la dirigente sarebbe rimasta “infastidita dalla lentezza con cui i parcheggi di Yahoo si riempiono al mattino e dalla rapidità con cui si svuotano alle cinque del pomeriggio”.

L’idea che un parcheggio pieno di auto implichi che ognuno sta facendo il suo lavoro è una tipica assunzione erronea degli amministratori incompetenti. E per gli impiegati è facile volgere questo sistema a proprio vantaggio. Se il mio capo mi fa capire che si accorge della mia macchina parcheggiata di sera o nel fine settimana, per farmi notare non devo fare altro che trascorrere molto tempo in ufficio.

Certo, così mi rovinerò la vita, ma per il resto è molto facile: finché mi trovo alla mia scrivania, anche se sto giocando a solitario, posso star certo di fare una buona impressione. Invece, permettendo ai dipendenti di lavorare dove vogliono, i manager sono costretti a valutare la produttività in base a criteri più significativi.

In un recente post pubblicato sul suo blog David Fullerton, il vicepresidente dello sviluppo tecnologico del gestore di siti web Stack Exchange, ha esaltato i vantaggi del telelavoro spiegando: “Per un amministratore di azienda come me non è facile capire quante ore lavora ogni membro della mia squadra. Ma in realtà questo è un bene, perché in questo modo devo valutare i risultati che ottengono”.

Una delle teorie formulate a proposito della politica di Yahoo sul lavoro in sede interpreta la nuova regola come un tentativo di arginare l’espansione incontrollata dell’azienda. Come un ex dipendente di Yahoo ha detto a Business Insider, ci sono un sacco di dipendenti che affermano di lavorare da casa ma in realtà non fanno niente. Ma se è questo il caso, perché usare uno strumento così inefficace? Perché, invece, non licenziare i dipendenti che non fanno il loro lavoro?

Per concludere, la nota del settore risorse umane di Yahoo giustifica il divieto di lavorare da casa affermando che la presenza in ufficio migliora “la collaborazione e la comunicazione”. Si tratta di un riferimento a una lunga serie di studi che hanno evidenziato i benefici della prossimità: quando esperti di discipline diverse interagiscono insieme, nascono idee brillanti.

La nota di Yahoo sembra rimandare alla tensione tra l’aumento di produttività che si ottiene attraverso il telelavoro e lo spirito collaborativo promosso dalla vicinanza tra le persone. Ma la soluzione non deve essere necessariamente questa. Adottando una linea flessibile, le aziende potrebbero permettere ai dipendenti di lavorare da casa per qualche giorno alla settimana e in sede gli altri giorni.

Ho la sensazione che con il tempo la distinzione fra il lavoro in ufficio e il lavoro da casa si farà più sfumata. Potremo lavorare dove e quando vorremo, e il nostro risultato sarà valutato in base a quel che produciamo, non al tempo che impieghiamo a farlo. Tranne che da Yahoo, dove l’unica cosa che conta è la presenza.

(Traduzione di Floriana Pagano)

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