12 settembre 2014 14:47

“Il mio nome è Dijon Thornton. Lavoro perché sto cercando di tenermi la casa. Non voglio diventare un senzatetto. E ho una famiglia. Lavoro da Wendy, sulla 125a strada. Mi sono slogato un braccio, ma non mi hanno dato i giorni di malattia e vogliono che continui a fare le solite cose”. Dijon Thornton è uno dei tanti lavoratori dei fast food che giovedì 4 settembre hanno manifestato in più di 150 città statunitensi per chiedere un aumento della paga a 15 dollari all’ora. Oggi guadagnano in media 9,08 dollari lordi, con contratti rinnovati di settimana in settimana (negli Stati Uniti per riuscire a mantenere una famiglia di quattro persone sopra la soglia di povertà è necessario un salario di almeno undici dollari all’ora).

Come ripetono molti economisti, se i lavoratori guadagnano di più consumano anche di più, aiutando la ripresa. Ma non solo: uno studio del National employment law project ha calcolato che i bassi stipendi delle dieci più grandi catene di fast food obbligano i lavoratori a ricorrere all’assistenza pubblica con un costo per i contribuenti di 3,8 miliardi di dollari. Questo è un settore che dà lavoro a tre milioni di persone e non risente troppo della crisi economica: si prevede che chiuderà il 2014 con 7,2 miliardi di dollari di utili. Ed è anche il settore che ha il maggiore divario salariale tra dipendenti e manager, con un rapporto di 1 a 1.200. Don Thompson, amministratore delegato di McDonald’s, guadagna 9.247 dollari all’ora, mentre lo stipendio medio dei suoi dipendenti oscilla tra i 7,13 e gli 8,84 dollari l’ora.

Il movimento dei lavoratori dei fast food potrebbe allargarsi. Come a Seattle, dove – anche grazie all’elezione in consiglio comunale di Kshama Sawant, militante di Socialist alternative – il 2 giugno è stata approvata una legge che ha portato a 15 dollari il salario minimo per tutti, indipendentemente dal settore di impiego. Il successo di Seattle è stato il segnale che questo movimento è capace di dare una prospettiva politica alle rivendicazioni economiche. Se ne è reso conto anche Barack Obama, che la scorsa settimana, a sorpresa, ha parlato delle manifestazioni, solidarizzando con i lavoratori.

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