09 settembre 2016 14:39

Nasciamo nudi, poi le cose peggiorano. Passiamo la vita a coprirci, con gusti alterni, da 170mila anni. E siccome siamo animali complicati, con gli stracci che vestiamo per difenderci dal freddo – o dal caldo – indossiamo anche leggi, vergogne, vizi, vanterie, virtù, credenze, giudizi, legami, fedi e conti in banca.

Per sei euro si può lasciare tutto questo in macchina e passare una giornata nudi ad Ada Bojana in Montenegro, al confine con l’Albania. Con un euro in più ci si può collegare a internet.

Uso quest’euro per scoprire su Google che l’isoletta a forma di triangolo, bagnata dall’Adriatico su un lato e dal fiume Bojana sugli altri due, è una delle mete preferite dei naturisti di tutta Europa. Dopo un paio di giorni, un po’ di chiacchiere e qualche passeggiata scopro anche che è uno dei mille cortocircuiti che fanno della vicina Ulcinj (Dulcigno) uno dei posti più incredibilmente brutti e affascinanti dell’intero paese, nonché un concentrato delle contraddizioni che viviamo in questo giovane millennio.

Minareti e discoteche
Me le ritrovo davanti una sera d’agosto, ma in una forma così esplosa e storta che quasi fanno saltare la giornata dell’indomani ad Ada Bojana, conosciuta anche come l’Isola del Paradiso.

L’arrivo nella città vecchia è una di quelle scene che si raccontano agli amici ridendo, ma a cui ognuno, dentro di sé, incolla parole tipo vergogna, tensione, disastro, apocalisse. Dipende da quanto si è ottimisti.

In questa scena siamo in due e siamo appena usciti da giorni di calette deserte e bagni ghiacciati e pensieri calmi tra Tivat e Petrovac. Siamo appena usciti da questa bolla di lentezza per finire in una trappola di clacson che suonano, macchine che s’incolonnano, posteggi in doppia fila, motorini che urtano specchietti per guadagnare qualche metro, persone che mangiano gelati, zuccheri filati, panini, crêpes, pezzi di pizza o che parlano al telefono o fanno più cose insieme. Tutto questo si traduce nel fatto che per percorrere i settecento metri di viale Kastrioti Skenderbeg, una delle strade che collegano la città nuova con quella vecchia, ci si può impiegare anche più di un’ora. Ed è quello che succede a noi.

A un certo punto delineo un piano non negoziabile: tornare di corsa a Petrovac. Ma senza neanche mangiare? , mi viene chiesto. Abbiamo dei biscotti, dico. Lei non risponde, resta calma e legge dalla Lonely planet: se volete un assaggio di Albania in Montenegro, andate a Ulcinj. Dopo un’ora e mezza siamo seduti davanti a una cena da sei euro a base di kebab, incantati e atterriti.

Sul lungomare della città vecchia i pirati maltesi, tunisini e algerini nel sedicesimo secolo ci vendevano gli schiavi. Oggi è invaso da migliaia di persone che pigiano, mangiano, tubano, cantano, bevono, parlano, strusciano, ridono, vendono, baciano, gridano: e come un’unica lenta onda abbrancano e inghiottono.

Ci finiamo in mezzo e veniamo trascinati da una punta all’altra, un chilometro scarso di passeggiata in cui duemilacinquecento anni di storia si toccano, friggono e stridono. Il catalogo è questo.

Le mura del castello costruito nel quinto secolo avanti Cristo dagli Illiri, distrutto e ricostruito più volte nel corso dei secoli, fanno da contrappunto a ristoranti che promettono pizza e pasta e altre meraviglie della cucina italiana.

Le bancarelle che vendono anelli e bracciali turchi si alternano a locali con nomi tipo Dorian Gray, Big Ben, Fama, Ibiza, e ci si chiede a chi occhieggino di più, se all’ansia del turista italiano, inglese o tedesco che vuole sempre ritrovarsi a casa, ovvero all’immaginario un po’ occidentale e molto posticcio di un qualsiasi ragazzo di Ulcinj.

La moschea dei Marinai, a pochi metri dalla spiaggia cittadina di Ulcinj, agosto 2016. (Giuseppe Rizzo)

Gli stand che vendono il Corano, i libri del grande scrittore albanese Ismail Kadare, o le biografie di Putin, arrivano fin sotto a una discotecona con le pareti di vetro colpite da luci colorate e giri di basso che sembra di essere negli anni novanta.

Il velo di molte ragazze si alterna alle minigonne di altre, finte Nike e ciabatte per molti uomini con la camicia attillata.

La moschea dei Marinai, una delle sei moschee in una città da 19mila abitanti a maggioranza albanese, costruita dai berberi nel quattordicesimo secolo a ridosso del mare, distrutta nel 1931 e ricostruita ottant’anni dopo da un mecenate turco, è a poche centinaia di metri dalla spiaggia riservata alle donne, che a sua volta è a poche centinaia di metri dalla piccola spiaggia nudista dell’hotel Albatros.

È un frullar di cose ed epoche che può dare il mal di testa e lo dà, e che ha in Ada Bojana l’ultima appendice o la prima, dipende dai punti di vista.

Soldi e zanzare
La spiaggia dei nudisti è una delle poche spiagge di sabbia del Montenegro, è lunga un chilometro ed è separata da quella pubblica da un sottile steccato di canne. Al di qua dello steccato il secondo divieto più importante è indossare vestiti, mentre il primo è girare senza maglietta nella hall dell’albergo, un albergo che per farsi pubblicità usa l’immagine di una donna nuda.

C’è un unico stabilimento che offre gratis gli ombrelloni, e che per ovvi motivi tutti cercano di accaparrarsi, c’è un ristorante-bar che la sera mette musica, e c’è il villaggio con i bungalow, i monolocali, l’albergo, un campo da tennis, uno da volley e un piccolo supermercato.

Le prime persone che incontro sul bagnasciuga sono due ragazze sedute a chiacchierare, e siccome parlano in italiano penso che magari possiamo scambiare facilmente qualche parola. Il punto è che non mi decido subito a farlo, le fisso e così mi ritrovo a infrangere il primo paradosso del nudista: stare nudi, ma pretendere di non essere notati. Hanno ragione loro, tranne quando stanno nudi e giocano a racchettoni, in quel caso lo sguardo è calamitato come se ci si trovasse davanti a uno spettacolo dei Monty Python. Mi avvicino.

Siete italiane?
Ciao, sì.
Ciao.
Silenzio.

Il secondo problema con queste ragazze è che non si alzano, e visto che io non mi siedo, c’è il tema delle prospettive, io posso abbassare lo sguardo e non incontrare ostacoli, loro alzano lo sguardo e insomma, m’imbarazzo. Ci pensano loro a togliermi il rossore.

Sei solo?
No, la mia ragazza ha preso un ombrellone di là, non le andava di scorrazzare e scottarsi, mi raggiunge dopo.
È la prima volta che vieni?
Sì, voi?
No, sarà la quinta, ormai, mi sa che la prima è stata l’estate che ci siamo messe insieme.
Ah, e dormite qui?
Eh sì. La prima volta avevamo preso una casa a Ulcinj, l’avevamo affittata per strada, hai presente?

Ho presente. Le strade che portano alla città sono costeggiate da persone che reggono cartelli in cui scrivono: “Affittasi appartamenti”. Qualcuno aggiunge che c’è il wifi, qualcun altro sta lì con tutta la famiglia.

Ma ci abbiamo dormito solo una notte, poi siamo scappate, Ulcinj è un casino, hai presente?
Ho presente. Qui è tranquillo?
Sì, noi siamo in un bungalow, un po’ caldo, ma si sta bene.
Silenzio.

Il problema delle prospettive non si risolve, e siccome non mi va di sedermi senza che nessuno m’inviti a farlo, tolgo il disturbo e vado verso l’albergo. Attraverso il villaggio in diagonale. Una signora sui sessant’anni mi viene incontro con due cagnoni al guinzaglio, uno dei quali a un certo punto si ferma, la annusa e le lecca l’inguine. Lei mi sorride, e io spero di non dover ricambiare la cortesia al simpatico animale.

Una risposta semplice a una domanda sensata: perché mai coprirsi quando c’è il sole?

Faccio una deviazione verso il campo da tennis. Un ragazzo e una ragazza stanno giocando, fa caldissimo, indossano solo scarpe e cappellini, sono molto abbronzati e molto belli, sono la perfetta dimostrazione del secondo paradosso dei nudisti: sono nudi, ma non sono per niente erotici. È una questione di numeri: visti dieci piselli li hai visti tutti. E in più c’è il fatto che i corpi nudi dal vivo hanno questo vizio, non sono perfetti. In spiaggia ho visto coppie di anziani giocare a carte, bambini scocciare i genitori, coppie annoiarsi. Del prurito che a molti viene quando pensano alle spiagge nudiste non c’è traccia, qui la gente sembra aver semplicemente trovato una risposta semplice a una domanda sensata: perché mai coprirsi quando c’è il sole?

Un bungalow del villaggio per nudisti ad Ada Bojana, agosto 2016. (Giuseppe Rizzo)

L’albergo è l’unico posto dove mi sento osservato. Mentre attraverso un lungo corridoio che porta nella hall mi dico che è perché prima di entrare ho indossato il costume. Penso che sia bollato come un gesto un po’ reazionario, quasi da cafone, e un po’ mi vergogno. Poi il tipo vestito di tutto punto dietro al bancone mi chiama.

Sir, sir.
Sì, dico.
La maglietta, per favore, è obbligatoria.
Ah.

Gli spiego che sono venuto dalla spiaggia, che mi son portato solo il costume, che insomma: quanto costa una stanza?

Ottanta euro, dice, un po’ scocciato.
Non c’è niente di più economico?
Ci sono i monolocali e i bungalow, ma in questo periodo sono tutti occupati.

Non mi sembra che abbia molta voglia di parlare, prendo uno dei loro volantini e l’occhio mi cade sui posti letto che ci sono nel villaggio: 592 letti. Faccio un rapido calcolo: sono più di mille chiappe, se si esclude chi dorme in camper o in tenda. Sono cresciuto in una città in Sicilia con meno abitanti.

Vado al ristorante-bar per capire se c’è gente che ha più voglia di chiacchierare. In veranda sono tutti vestiti a parte tre ragazze. Stanno cercando di convincere il cameriere a lasciarle bere il vino che si sono portate dietro. Discutono in piedi, sono molto abbronzate e molto secche, se non fosse per i seni e per i capelli lunghi fino ai fianchi potrebbero essere scambiate per dei maschietti, gli unici peli che hanno sono sotto le ascelle, tutte e tre. Mi viene da pensare al terzo paradosso dei nudisti: stanno nudi, ma usano i peli come se fossero vestiti. Tagli, rasature e lunghezze comunicano allo stesso modo di accessori, colori e scarpe. I naturisti tedeschi di una certa età si riconoscono perché sono quelli con le spalle perennemente rosse e i peli ovunque; i ragazzi e le ragazze sono quasi tutti depilati, chi si tiene i peli sotto le ascelle è perché fa un po’ vintage.

Ordino un caffè perché mi rendo conto che tutto quello che ho messo in tasca sono due euro, per paura che leva e metti il costume avrei perso i soldi. Chiedo al barista se sa qualcosa sul villaggio, su quando è nato, su com’è cambiato, ma pure lui non sembra un chiacchierone. Goran, dice. Non capisco e scuoto la testa. Goran, ripete, e mi fa segno di voltarmi.

A un angolo del bancone c’è questo signore curvo su una birra. Indossa le rughe dell’età, un cappellino bianco ricamato da donna e dei grandi occhiali da sci. È l’unico nudo dentro il locale. Mi avvicino salutandolo e dicendo il mio nome, ma mi rimpalla dicendomi che va a farsi un bagno. Lo seguo fuori e poi sul bagnasciuga e poi mi chiedo se sia il caso di seguirlo anche in acqua. In fondo non ho ancora fatto un bagno, e non c’è da avere molta paura di un uomo che si è buttato con cappello e occhiali.

Le persone in spiaggia somigliano a tante lumache senza guscio

L’acqua è ghiacciata e dolce per via della confluenza del fiume, il vento batte fin dal mattino, porta con sé un poco di sale e molti kitesurfer. Nuotare è piacevole, stira i nervi e ovatta i pensieri. Viste da qui, le persone in spiaggia somigliano a tante lumache senza guscio.

Quando Goran esce, la prima cosa che fa è sdraiarsi sulla spiaggia e rotolarsi. L’ho visto fare a molti, perciò lo guardo perplesso. Ti riscalda, prova, mi dice. Ho freddo, ma declino l’offerta. Mi siedo e gli spiego che sono un giornalista. Si mette a sedere anche lui, si toglie gli occhiali e se li poggia su un ginocchio. Ogni tanto viene qualche giornalista, dice. Ha questa voce rauca e nervosa, come se fosse impastata di sigarette e caffè, gli occhi velocissimi e blu.

È un posto curioso, dico.
È un posto pieno di vecchi, dice lui, riferendosi agli altri e non a se stesso.
Ci vieni da tanto?
Scriverai queste cose?
Penso di sì.
Perché?
Eh.

Monolocali del villaggio per nudisti ad Ada Bojana, agosto 2016. (Giuseppe Rizzo)

Ci penso su un attimo, non mi viene una risposta intelligente, così gli ripeto che è pur sempre una situazione inusuale per la maggior parte delle persone. Non è così normale stare nudi, no? Goran si sta togliendo un po’ di sabbia dal pisello, lo fa come se si stesse scrollando una spalla o il palmo di una mano, senza prestare attenzione a me che lo fisso. Poi alza lo sguardo e mi dice: posso farti esattamente la stessa domanda, perché diavolo ti fai il bagno vestito? Rido, ammetto il punto a suo favore, e gli chiedo da quanto viene qui.

Dalla metà degli anni settanta, mi dice, il villaggio è stato tirato su nel 1972, ma all’epoca era tutto diverso.
Ora com’è?
Ora è tipo un villaggio vacanze, la gente è rumorosa e il bar mette musica fino a tardi. Non ho niente contro la musica, ma il bar mette musica schifosa. La prima volta che sono venuto c’era solo qualche baracchetta e molta più libertà.
Suona molto hippy, gli dico.
Erano gli anni settanta, molte cose non ci sono più, è scomparso un intero paese, era logico che cambiasse anche questo posto.
Come mai hai iniziato a venirci?
Mi piaceva il mare, ma non mi piacevano i costumi. Ero comunista, ma non mi piaceva Tito. Ero anche sposato, ma non mi piaceva mia moglie.

Rido ancora, ma la sua risposta suona in linea con la storia di molti comunisti dell’epoca. Tristan Rutherford sull’Atlantic racconta così l’isola di Rab in Croazia, dove nel primo novecento è nato il movimento naturista europeo. Il discorso vale un po’ per tutte le oasi naturiste nei Balcani:

Qui il naturismo non è solo una questione di forma. Ci stiamo addentrando in quella che fino a non molto tempo fa era una terra in cui la nudità aveva un preciso significato politico. I naturisti venivano qui da tutto l’ex blocco sovietico per abbronzarsi sulle rive assolate del socialismo. Per i tedeschi dell’est girare nudi era una dichiarazione di libertà individuale. Schiere di cecoslovacchi nudi riempivano le loro Škoda con scatole di sardine e scorte a buon mercato di vino delle cooperative.

Sai quali sono i problemi dei nudisti?, chiede Goran.
Non lo so, dico.
I soldi e le zanzare. Abbiamo troppe zanzare, ma non abbiamo abbastanza soldi per far passare l’idea che stare nudi è normale.

Il tramonto si avvicina, il sole quasi tocca l’Adriatico e il mare ha il colore del tè. I riflessi rischiarano gli occhi, per il tempo di un respiro. Nel salutare Goran mi vien da pensare che il nudismo, in fondo, è uno dei modi più ironici e meno dogmatici di rispondere ai mille integralismi di questi anni e alle mille contraddizioni viste in questi giorni. Resta il problema delle zanzare.

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