L’idea di candidare Letizia Moratti con il centrosinistra alle prossime elezioni regionali della Lombardia ha trovato in questi giorni molte resistenze nel Partito democratico. È invece piaciuta fuori dal Pd e ai grandi giornali nazionali moderati, che ne hanno scritto molto e con toni molto appassionati.

Sono stati composti elenchi delle cose buone che Moratti ha fatto fatto quando era sindaca di Milano, magari sorvolando su altre, come le polemiche per il mancato patrocinio concesso al Festival internazionale di cinema gay e lesbico e al gay pride, di cui oggi lei si dice pentita. Si è scritto anche di come, già in passato, il Pd abbia stretto alleanze con politici e partiti di centrodestra per governare insieme il paese, o comunque abbia accolto tra le proprie fila molti esponenti del centrodestra. Ma soprattutto si è scritto molto sulle motivazioni che hanno condotto Moratti a rompere con la destra.

“Speravo che prevalesse nel centrodestra un’anima liberale, popolare, riformista, […] ho dovuto constatare che ci troviamo di fronte a un centrodestra che ha tradito se stesso”, ha spiegato Moratti in un’intervista al Giorno. In molti hanno visto in questa rottura un’opportunità. Tra questi, c’è Luigi Zanda, dirigente del Pd, che al Corriere della Sera ha spiegato: “È un passaggio politico che le fa onore e che sarebbe sbagliato non condividere”. Sulla stessa linea anche il Foglio: “L’uscita di Moratti dal polo di destra con nette motivazioni antisovraniste, europeiste, pro vax, può essere uno strappo da sfruttare”.

Il problema non è il profilo politico di Letizia Moratti, ma l’idea di politica che sembra emergere da questo dibattito

A molti, insomma, devono essere sembrati dimenticabili la sua lunga storia politica nella destra italiana e il fatto che, come ha scritto Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, Moratti sia stata “una figura chiave del berlusconismo”. Dopo essere stata presidente della Rai tra il 1994 e il 1996, infatti, è stata ministra due volte con Silvio Berlusconi, quindi sindaca di Milano con il centrodestra, e dall’inizio del 2021 fino a pochi giorni fa anche vicepresidente della regione Lombardia guidata dal leghista Attilio Fontana. Si è anzi provato a descrivere come un pregiudizio ideologico la forte perplessità diffusa a sinistra nei suoi confronti. E Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, è arrivato a dire che nei confronti della Moratti ci sarebbe addirittura “uno sdegnoso giudizio di classe”.

Solo per la vittoria

Comunque sia, il problema non è quello del profilo politico di Letizia Moratti o della “rinfrescata” che si sta provando a dare a quel profilo. La questione va molto al di là di una sua eventuale candidatura – peraltro sempre più lontana – con il centrosinistra, e ha a che fare con l’idea stessa di politica che sembra emergere da questa discussione pubblica.

Si sta infatti ragionando come se fosse del tutto normale affidare la leadership della coalizione di sinistra a un politico di destra, senza neppure spiegare quali siano le ragioni politiche di un’operazione di questo genere. Si sostiene soltanto che potrebbe portare la vittoria elettorale, ed è tutto qui. Ancora una volta tutto si esaurisce in un’operazione tattica. Si rinuncia alla politica per ottenere in cambio il potere. E nessuno pare sfiorato dal dubbio che stia proprio nella rinuncia alla politica la disfatta culturale del Pd.

È proprio quella rinuncia che l’ha trasformato in un’organizzazione dedita soltanto al potere, e quindi candidata a smarrirsi non appena il potere fosse andato ad altri, cosa che con la vittoria della destra di Giorgia Meloni è puntualmente accaduta. Lo hanno giustamente sottolineato tutti o quasi, all’indomani della sconfitta alle elezioni politiche del 25 settembre. Eppure gli stessi che fino a qualche giorno fa accusavano il Pd di essere un partito capace di interessarsi solo alla gestione del potere, adesso sostengono un’operazione il cui orizzonte è la presa del potere, senza altre ragioni politiche.

Alla fine, la sensazione è che tutto ciò abbia molto poco a che vedere con le elezioni in Lombardia e molto con i futuri equilibri politici nazionali. E che, in una fase nella quale il centrosinistra, con un congresso alle porte, appare smarrito e costretto a rifondarsi, in molti stiano provando a costruire un argine per tenere il Pd più a destra possibile. Il fatto è che, se non si riprenderà a ragionare in termini politici, e quindi strategici oltre che tattici, si potrà anche conquistare la regione Lombardia ma sul piano nazionale si rischia di continuare a perdere contro una destra radicale e ideologica, come è quella guidata da Giorgia Meloni.

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