Nelle prime due settimane di giugno in Sardegna sono già stati domati 170 roghi. In Salento alcuni incendi hanno bruciato ulivi ormai secchi a causa della xylella, che hanno funzionato come torce e hanno propagato il fuoco. Il 30 maggio, nei pressi di Trapani, un incendio ha distrutto una grossa parte della montagna di Erice. E il 25 maggio a Stromboli sono bruciati cinque ettari di macchia mediterranea. L’emergenza incendi si ripete ogni anno: a luglio c’è il picco dell’attenzione, ma poi in inverno non si lavora abbastanza sulla prevenzione. Intanto stanno aumentando i fenomeni climatici che favoriscono il propagarsi del fuoco: le temperature sono più alte, piove sempre meno e sono più frequenti gli eventi meteorologici estremi, come ondate di calore e siccità.

Meno fuochi ma più devastanti

Secondo il Rapporto sugli incendi boschivi della Direzione generale ambiente dell’Unione europea, nel 2021 in Italia ci sono stati 1.422 incendi, il 90 per cento dei quali sono avvenuti nei mesi di luglio e agosto: è stata interessata un’area di quasi 160mila ettari, grande più di tutto il Gargano, la più vasta da oltre un decennio. Quarantanove incendi hanno bruciato una superficie superiore a 500 ettari, il numero più elevato in Europa, Medio Oriente e Nordafrica: 32 di questi sono avvenuti in Sicilia. Il più grande si è verificato in Sardegna, nel territorio del Montiferru, dove oltre 13mila ettari sono stati distrutti dal fuoco.

Negli ultimi anni sta diminuendo il numero di incendi, ma sta aumentando la superficie bruciata: gli incendi sono quindi meno, ma più devastanti. In Europa il 2 per cento degli incendi è responsabile dell’80 per cento dell’area bruciata annualmente. Secondo il Fire weather index, la loro pericolosità continuerà a crescere nel tempo: in Italia, rispetto al periodo 1971-2000, la pericolosità aumenterà del 20 per cento nel medio termine, arrivando a crescere del 40 per cento alla fine del secolo.

“Nel bacino del Mediterraneo l’insorgenza degli incendi è legata soprattutto a cause antropiche, ma la prevenzione non deve limitarsi solo alla sorveglianza del territorio: occorre concentrarsi anche sui fattori che favoriscono la propagazione del fuoco”, spiega Valentina Bacciu, ricercatrice del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) affiliata al Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici. I fattori della propagazione sono di tre tipi: orografici, meteorologici e relativi alle caratteristiche della vegetazione. Ma se negli ultimi decenni l’orografia, ossia la conformazione fisica del territorio, è rimasta la stessa, sono cambiate le condizioni meteorologiche, a causa del cambiamento climatico. “Per la propagazione di un incendio, gli ingredienti più importanti sono il vento e la siccità: le alte temperature e il vento aumentano l’evapotraspirazione e riducono l’umidità della vegetazione, predisponendola alla combustione”.

Alle porte della Campagna antincendio boschivo (Aib) dell’estate 2022, la stagione si apre con un livello di rischio molto alto. La prolungata mancanza di piogge, soprattutto in primavera, ha fatto sì che oggi la vegetazione dei boschi sia estremamente secca. “In tanti comuni toscani abbiamo registrato il peggior dato di secchezza del bosco dal 1991 a oggi”, dice Luca Tonarelli, direttore tecnico del Centro di addestramento antincendi boschivi della regione Toscana. “Quando il bosco è così secco, una scintilla rischia di trasformarsi in un incendio molto pericoloso e diffuso. C’è una soglia di sicurezza oltre la quale i nostri mezzi non si possono avvicinare alle fiamme, e neanche i canadair”.

Sul territorio

“Lo spopolamento delle aree rurali e montane ha portato all’abbandono di molte aree agricole e pastorali, che sono state riconquistate dal bosco”, spiega Tonarelli. “Si tratta di una vegetazione cresciuta in maniera disordinata, senza manutenzione: questo comporta un aumento del carico di combustibile e della sua continuità, con un alto rischio di propagazione delle fiamme. I boschi stanno sempre più entrando nelle città: ci sono così più zone di interfaccia tra uomo e natura, con un maggior rischio d’innesco”.
Le cause d’innesco in Italia sono quasi sempre legate all’attività umana: in alcuni casi si tratta di eventi fortuiti dovuti a cortocircuiti, mozziconi di sigaretta o attività turistiche, ma la maggior parte degli eventi sono di origine dolosa, per fare speculazione sui terreni liberati dal fuoco.
La legge quadro 353 del 2000 sugli incendi boschivi obbliga i comuni a censire, tramite un apposito catasto, le aree che sono state percorse dal fuoco, sulle quali vengono posti dei vincoli come il divieto di pascolo, di caccia e l’interdizione al cambio di destinazione d’uso. “L’obiettivo è impedire la speculazione economica sui terreni bruciati e disincentivare le persone ad appiccare il fuoco per un tornaconto economico”, spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale all’università Statale di Milano. “Il problema è che molti comuni non compilano il catasto, per mancanza di volontà o per carenza di strumenti tecnici adeguati, e così la funzione di deterrenza si perde”.

La materia è stata aggiornata dal decreto legge 120 dell’8 settembre 2021 (poi convertito nella legge 155), emanato sulla scia della dura stagione degli incendi che ha colpito l’Italia l’estate scorsa. “Le novità principali riguardano la lotta attiva agli incendi, che viene potenziata con risorse e strumentazioni. È un passo avanti, ma sarebbe importante investire anche sulla prevenzione territoriale: quando l’incendio è scoppiato, è già troppo tardi”.

La prevenzione territoriale consiste in tutte quelle azioni che servono a far sì che, se dovesse scoppiare un incendio, il fuoco trovi sulla sua strada meno combustibile, e diventi così più facilmente spegnibile. Per questo è fondamentale fare la pulizia dei boschi, che riduce la vegetazione fine e le sterpaglie, altamente infiammabili. È importante inoltre creare viali tagliafuoco o diradamenti, in particolare nelle fasce a contatto delle aree urbane, attorno alle viabilità più importanti o nei punti strategici di gestione.

“In alcuni casi può essere utile applicare la tecnica del fuoco prescritto: invece che rimuovere manualmente le foglie e gli aghi morti sul terreno, si può far scorrere una fiamma bassa e controllata per bruciarli”, spiega Vacchiano. “È un intervento delicato, da realizzare in presenza di personale specializzato durante l’inverno, quando il livello di umidità è alto”.

E poi c’è la selvicoltura preventiva, che consiste nel piantare specie vegetali più resistenti agli incendi boschivi, preferendo le latifoglie come il faggio o il castagno, meno infiammabili, alle conifere, come il pino e l’abete. Tutto questo attraverso microinterventi studiati ad hoc per non alterare la biodiversità dell’ecosistema.

“La pulizia dei boschi in Italia ha però ancora una portata limitata: oltre alla mancanza di fondi, c’è il problema che i due terzi delle foreste ricadono all’interno di proprietà private”, spiega Tonarelli. “In quel caso dovrebbe essere il proprietario a occuparsi della manutenzione della vegetazione, ma non sempre questo avviene. Fare i controlli non è semplice: si tratta quasi sempre di piccole proprietà frammentate, i proprietari se ne sono andati o in alcuni casi neanche sanno di possedere il terreno”. Il testo unico sulle foreste del 2018 prevede che le regioni possano esercitare un potere sostitutivo nei boschi privati, in caso di emergenza, ma ancora poche hanno recepito la norma.

Gestione sostenibile

In Italia la competenza in materia di previsione e prevenzione degli incendi è regionale, ma per la lotta attiva vengono coinvolti anche corpi nazionali come la protezione civile, i vigili del fuoco e i carabinieri forestali. “Le competenze sono troppo frammentate, serve una maggiore integrazione”, dice Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente, che l’estate scorsa ha elaborato nove proposte per una gestione degli incendi estremi in un contesto di cambiamento climatico. “Ci sono molti soggetti chiamati in causa, che a volte non dialogano: in fase di emergenza, il coordinamento diventa ancora più complesso”.

E poi serve una pianificazione e gestione forestale sostenibile. “Al momento solo il 20 per cento del patrimonio forestale è soggetto a pianificazione, soprattutto nel nordest: per il resto, i boschi sono lasciati a se stessi”, racconta Nicoletti. “In Italia abbiamo 11,2 milioni di ettari di foreste, un terzo del territorio nazionale, ma non conosciamo il loro stato, non sappiamo cosa producono, che risorse nascondono. Lo strumento principale di prevenzione e di lotta agli incendi è la creazione di un legame tra le popolazioni locali e il bene bosco: per questo non bisogna mettere ulteriori vincoli, anzi servono investimenti, educazione e formazione”.

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