Henrik Sorensen, Getty

Cosa rende bello un movimento? Per dare una risposta scientifica a questa domanda occorre mettere in atto un processo delicato, fatto di scelte e semplificazioni. Studiare cosa accade in un sistema complesso come il nostro cervello mentre osserviamo un fenomeno altrettanto intricato come la danza non è una sfida banale.

Una strategia usata consiste nel focalizzarsi sui singoli aspetti che caratterizzano il movimento, capire come il cervello li percepisce e li valuta, e quindi combinarli in modo sempre più complesso fino ad approssimare l’esperienza reale. Questi includono, per esempio, il tempo, lo spazio occupato, il rapporto con il suono e l’esperienza pregressa di chi osserva.

In uno studio che ha coinvolto Emily S. Cross dell’università Macquarie di Sydney e Guido Orgs dell’università Goldsmiths di Londra, è stato chiesto a decine di partecipanti senza esperienza con la danza di valutare coppie di video che mostravano gli stessi movimenti danzati con un tempo diverso. In altre parole, un ballerino eseguiva le stesse movenze in modo uniforme, cioè fluido e continuo, oppure in modo dinamico, ovvero accelerando, decelerando e inserendo momenti di pausa. L’analisi della complessità temporale creata dal danzatore (quantificando la fluidità e l’entropia del movimento) ha evidenziato una preferenza per movimenti che variano nel tempo, ma che sono anche prevedibili.

Nel laboratorio di neuroscienze sociali e cognitive della Sapienza di Roma stiamo ora considerando altri due aspetti che potrebbero contribuire alla valutazione estetica del gesto e che non sono stati mai indagati nel campo della neuroestetica. Da un lato, è importante esplorare il modo in cui la percezione del bello dipende dalle relazioni spaziali tra i corpi di due persone, cioè la loro distanza, posizione e orientamento nello spazio. Dall’altro, bisogna capire come le sensazioni e i movimenti corporei interni di chi osserva (per esempio il battito cardiaco o la respirazione) modificano la percezione di un movimento esterno.

È rilevante finanziare quest’ambito di ricerca, è utile non solo per aggiornare le teorie sui meccanismi neurali alla base della valutazione estetica del movimento, ma anche per studiare i processi usati dal cervello per elaborare le informazioni e connettersi al mondo esterno. Inoltre i risultati di queste ricerche possono essere spesso traslati, cioè usati in altri ambiti, come la pratica clinica e la riabilitazione, trovando ricadute pratiche nella vita di tutti i giorni.

Avviare un dialogo di scambio sempre più complesso tra scienza e arte (performativa) permetterebbe di trarre vantaggio dalla variabilità del repertorio di gesti che caratterizza la danza, divulgando allo stesso tempo conoscenze e sviluppando strumenti utili alla creazione artistica.

Andrea Orlandi è assegnista di ricerca presso il laboratorio di neuroscienze sociali e cognitive dell’università La Sapienza di Roma.

A. Orlandi et al, Timing is everything: Dance aesthetics depend on the complexity of movement kinematics, Cognition (2020)

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