Marcello Crescenzi

Un rapido sguardo e una risata, con Marta Baiocchi ci riconosciamo così, sul marciapiede all’angolo tra via dei Reti e via dei Piceni, nel quartiere San Lorenzo di Roma, dove l’osteria Tram Tram ha allestito dei tavoli fuori. È arrivata la bella stagione, mangiare all’aperto è piacevolissimo, anche se la conversazione ogni tanto è sovrastata dal rumore dello storico tram 19, che dal centro arriva fino a Centocelle.

Marta Baiocchi è romana e lavora poco distante, all’Istituto superiore di sanità (Iss) nel dipartimento di oncologia e medicina molecolare. Ci tiene però a precisare che le opinioni espresse in quest’intervista non necessariamente rispecchiano le posizioni dell’Iss. Da più di trent’anni studia la biologia cellulare: “Osservo lo sviluppo e il differenziamento delle cellule”, spiega. “Ho iniziato studiando le cellule staminali del sangue negli anni novanta, poi ho lavorato sul virus dell’hiv e ultimamente mi occupo di cellule tumorali”. Dopo un’esperienza negli Stati Uniti, Baiocchi è tornata nella sua città e per alcuni anni ha coordinato la banca delle cellule staminali tumorali dell’Iss “dove abbiamo messo a punto un metodo innovativo per studiare e trovare nuovi approcci terapeutici per le malattie oncologiche. Nel cancro le cellule staminali tumorali che si riproducono sono spesso resistenti alle cure chemioterapiche, quindi sarebbe molto importante trovare nuovi farmaci specifici”.

Non c’è dubbio, sottolinea, che la prevenzione sia fondamentale: “Non sono medica, per cui non ho dati precisi sul numero di malati e guarigioni, ma posso dirti che negli ultimi anni nei nostri laboratori abbiamo avuto difficoltà a reperire frammenti di tumore al colon di grandi dimensioni da studiare: i chirurghi dicono che il programma di screening della regione Lazio sta funzionando così bene che in ospedale adesso arrivano per lo più pazienti con tumori molto piccoli. Quando succede questo, vuol dire che la public health sta funzionando, significa pensare alla collettività e non solo alle singole persone. Ma vuol dire anche, per esempio, che invece di concentrarti solo nella ricerca di un farmaco per il tumore al seno, che potrebbe essere ottimale solo per alcune pazienti, magari si potrebbe pianificare una mammografia per tutte in anticipo”. La domanda è retorica ma ben restituisce l’approccio pragmatico di Baiocchi, che tiene conto anche dei limiti della scienza: “Da biologa mi è chiara la complessità del sistema cellulare, che spesso rende molto difficile spiegare i fenomeni che si osservano. Si sa che mangiare in una certa maniera o camminare aiuta a ridurre il colesterolo, ma non sempre si capisce cosa succede dal punto di vista del funzionamento della cellula”. Me lo spiega con una metafora: “Immagina una cellula come una città con ferrovie, negozi, palazzi alti e bassi, biciclette, semafori… guardi questa città e neanche conosci bene tutti i geni, perché il progetto genoma li ha mappati tutti, ma di molti non sappiamo cosa fanno. Ecco, immagina che ogni componente di questa città a cui hai tolto colesterolo - i palazzi, i semafori, le strade - è un po’ differente da prima. È difficile capire quali sono state le modifiche più importanti, se i parametri sono tutti un po’ cambiati. Si procede per ipotesi, con tanta pazienza e tante ore in laboratorio”.

Cultura e divulgazione

È una donna solare e molto loquace, con il piglio sagace nelle battute,
commenta l’ottimo baccalà mantecato e riprende il racconto: “La cellula umana è certamente diversa da quella vegetale, ma hanno archetipi comuni, perché la vita ha avuto origine da un’unica cellula, un batterio che crescendo si è differenziato dando vita a organismi differenti”. Indossa una bellissima collana bianca e nera che ricorda la catena del dna. Le chiedo da dove nasce questa passione per la scienza: “Da piccola ero appassionata di letteratura, però avevo un padre chimico che mi ha insegnato il senso della natura, dei numeri e delle misure fin da piccola. Ho scelto biologia perché ho pensato che avrei fatto un lavoro più concreto”.

È cresciuta negli anni settanta, al liceo classico: “Non ero militante, ma ho assorbito la temperie culturale dell’epoca”,racconta. “Condividevo molti temi, ma su alcune questioni di genere ero un po’ incredula. Oggi mi rimprovero di averne capito tardi l’importanza e la gravità. Quando sono arrivata all’università la mia facoltà era piena di donne, non ho notato chissà quali discriminazioni. Poi passati alcuni anni ho aperto gli occhi e ho visto che, sebbene fossero meno per numero, nel nostro campo i dirigenti e i capi dipartimento erano, e sono, quasi tutti maschi. I colleghi in media passano i concorsi anni prima delle coetanee. Allora capisci che c’è qualcosa che non va: è il tetto di vetro che finché non alzi il braccio non lo vedi e non lo senti”.

Del resto, prosegue gustando la tartare, “la scienza riflette la cultura dell’epoca, non è un caso che per molto tempo i gender studies siano stati poco affrontati dalla ricerca, per approfondire le differenze fra sessi. Adesso è cambiata la tensione filosofica, e di conseguenza anche l’interesse verso i nessi fra salute, ricerca e funzionamento democratico delle nostre società”.

Quale può essere, le chiedo, il ruolo della divulgazione in questo scambio fra scienza e società? “Nel mondo scientifico da sempre si dibatte su quanto, se e come divulgare. Non perché nella ricerca accademica ci siano ricerche segrete, come a volte può essere nelle aziende farmaceutiche, ma perché si teme che non ci sia un pubblico capace di recepire nel modo giusto quelle informazioni. Per esempio, sulla sperimentazione animale spesso sono state veicolate notizie distorte, con il risultato che in Italia sono stati chiusi laboratori dove tutti i controlli erano certi e garantiti, e adesso quelle ricerche si fanno in paesi dove non sai nulla di quello che accade, e il benessere animale è quasi certamente meno tutelato. È un peccato, perché la comunità scientifica accademica è da sempre aperta al confronto e da decenni esistono scambi internazionali fittissimi, sia riguardo le informazioni sia riguardo il personale che fa ricerca sia per valutare sia per pubblicare i nostri lavori”.

Fa una pausa per fumare la pipa, anzi ne tira fuori due per essere sicura di averne sempre una asciutta e chiosa ridendo: “Divago sempre, torniamo alle tue domande”.

Fecondazione assistita

Il tempo non è più molto, le chiedo una battuta a partire dai suoi libri i cui titoli dicono già molto: Cento micron (Minimum Fax 2012) e In utero (Sonzogno 2018), un romanzo e un saggio, entrambi sulla fecondazione assistita. “Nel romanzo avevo ipotizzato un utero in vasca, ma di tutti i possibili rivolgimenti che sicuramente vedremo sul fronte maternità, l’utero in scatola è decisamente il più remoto”, spiega Baiocchi con lo sguardo che per una manciata di secondi si rivolge altrove, quasi si perdesse dietro altri pensieri.

“Nell’interazione fra utero ed embrione ci sono migliaia di molecole diverse che si parlano e non sappiamo tutto quello che si dicono. Dopo la fecondazione in vitro, entro pochi giorni l’embrione va trasferito nell’utero, altrimenti viene meno quel dialogo cellulare e degenera. Il corpo della donna è quindi ancora necessario. Sono tuttavia convinta che la scienza e la tecnologia siano una leva fondamentale per il cambiamento reale della società, per questo motivo, come biologa sono favorevole, per esempio, al congelamento degli ovuli nell’età giovanile, che consentirebbe alle donne di avere figli in età più avanzata senza dover ricorrere magari all’ovodonazione. Se fosse gratuito per tutte le donne sarebbe una soluzione che aumenterebbe la loro possibilità di scelta, e risulterebbe anche eticamente più sostenibile”.

“E se invece prendessimo in seria considerazione la possibilità della nostra estinzione?”, le chiedo. “Chi può dirlo?”, conclude. “Non possiamo prevederlo ma sappiamo che ci sono stati momenti nella storia di questo pianeta in cui le popolazioni umane erano ridotte a poche migliaia di esemplari, eppure adesso siamo cresciuti in maniera esponenziale: chissà, stiamo a vedere che cosa succede”.

Il conto

Tram Tram
Via dei Reti 44, Roma

2 baccalà mantecato su crema di ceci con chips di polenta
24,00
1 spaghetti alle alici
12,00
1 tartare mediterranea di manzo
12,00
1 cicoria
5,00
2 calici di vino bianco
10,00
2 caffè
3,00
Acqua e coperti
3,50

Totale  69,50


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