A quattro giorni dal voto ormai i commenti sui dati elettorali riguardano soprattutto la ripartizione dei seggi. Quanto è grande la maggioranza di centrodestra? Quanti seggi avrebbe preso la sinistra facendo più alleanze, ma soprattutto, se la legge elettorale fosse stata diversa?

C’è un altro numero però che non si può ignorare, che non è fonte di stupore e non lo sarà nemmeno alle prossime elezioni: è quello che riguarda un’affluenza sempre più in calo. Mai così bassa per le elezioni politiche in Italia, dove il 25 settembre solo il 63,95 per cento delle persone aventi diritto al voto si è presentato alle urne.

C’è un fatto da notare, rispetto a questi dati: in Italia si vota ancora mettendosi in fila ai seggi in code divise per uomini e donne, i registri sono separati, ma i dati disaggregati per sesso sono gli ultimi ad arrivare. Passano 24 ore prima di poter leggere finalmente quelle cifre in una prospettiva di genere, e in realtà diventa possibile farlo solo grazie al lavoro di chi estrae le informazioni dal sito di Eligendo – la fonte ufficiale del ministero dell’interno con i dati di tutte le elezioni – e li pubblica in formato aperto, in particolare l’associazione OnData.

Come si poteva immaginare osservando la tendenza degli ultimi anni, il dato è il più basso di sempre anche per l’affluenza femminile. Solo il 62,19 per cento delle italiane ha esercitato il diritto di voto, contro il 65,74 per cento degli elettori, un numero che aumenta quando da percentuale diventa assoluto perché nella larga maggioranza dei comuni italiani, il 68 per cento, a poter votare sono più donne che uomini.

Osservando i dati su scala nazionale, nel 2022 sono il 12 per cento i comuni in cui le donne hanno esercitato in misura maggiore questo diritto. Il divario anche nel 2022 sembra minore nei comuni più piccoli mentre è maggiore nelle grandi città, dove la connessione con la politica attiva sul territorio è più complessa e dispersiva. Nuoro fa eccezione come capoluogo di provincia dove nel 2022 hanno votato più donne rispetto agli uomini aventi diritto (ci vivono comunque meno di 40mila persone, 36.900 secondo i dati del 2017).

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Nei paesi dell’Ocse, alle elezioni più recenti per le quali sono disponibili dei dati statistici, l’affluenza alle urne è stata in media del 69 per cento. La differenza tra il tasso di partecipazione al voto degli uomini e delle donne è lieve nella maggior parte dei paesi ma in Svizzera, dove le donne hanno avuto il diritto di voto per ultime in Europa a livello comunale (nel 1971) e nei cantoni solo nel 1990, gli uomini superano le donne di circa 5 punti percentuali, come in Italia nel 2018 .

Il dato dell’affluenza italiana va guardato in una prospettiva storica: secondo i sociologi Dario Tuorto e Laura Sartori, che hanno raccolto i dati sull’affluenza di elettori ed elettrici dal 1948 a oggi (abbiamo aggiunto il 2022), il fatto che dopo il 1948 e fino all’inizio degli anni ottanta non ci fosse quasi alcun divario dipende dall’entusiasmo iniziale delle donne per un diritto appena acquisito e dal loro ruolo nella società di quegli anni: molte donne votavano su indicazione del marito o su spinta, anche moralistica, della Chiesa, che ha avuto per molto tempo un ruolo centrale nel favorire l’esercizio del diritto di voto, per uomini e donne.

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Come ha scritto anche su Domani Enzo Risso, anticipando il risultato di queste elezioni, quello dell’affluenza in Italia è “un dato fisiologico che è diventato una patologia”. Secondo Risso, fino al 2001 votare scheda bianca è stato il principale gesto di protesta contro una politica da cui non ci si sentiva più rappresentati, mentre dalle elezioni successive le persone hanno scelto di rimanere direttamente a casa, perché non sentono più la responsabilità di andare a votare. Per le donne questa smobilitazione è ancora maggiore e nelle ultime elezioni ha raggiunto un apice non solo in termini assoluti ma anche nel divario tra uomini e donne.

Neppure l’aumento della rappresentanza femminile nelle istituzioni e in parlamento sembra avere un impatto sul desiderio di esercitare il proprio diritto di voto. Forse perché la presenza non si traduce sempre in rilevanza, e la partecipazione di poche al governo non ha cambiato sostanzialmente le politiche e le vite di tante: in Italia oggi meno di una donna su due lavora e ci sono 28,3 punti percentuali di divario tra il tasso di occupazione maschile e femminile in presenza di un figlio.

Ma perché le donne non votano?

I partiti sono tradizionalmente associazioni dominate da una cultura maschile, e anche dopo l’ingresso delle donne nella struttura organizzativa non sono cambiati. Le donne faticano a trovare uno spazio e di conseguenza anche a provare interesse per la politica dei partiti. La ragione del loro astensionismo quindi potrebbe essere la separazione che persiste nella società italiana tra la dimensione pubblica, del governo e del lavoro, e quella privata, della casa e della cura: la prima è una dimensione maschile e la seconda femminile. Questa persistenza si lega a un modello tradizionale in cui gli uomini principalmente lavorano e le donne principalmente si prendono cura.

In Italia moltissime donne non hanno tempo per la politica. La gestione del tempo delle donne dipende dal lavoro in casa e i dati Istat ci dicono che la ripartizione totalmente sbilanciata del lavoro di cura produce uno svantaggio delle donne proprio nel tempo libero a disposizione. Il tempo per sé si disperde nella gestione della casa, dei bambini, degli anziani: infatti per le donne diminuisce con l’età a mano a mano che aumenta il carico di cura dovuto a un marito, ai figli, ai genitori anziani, ai nipoti. La partecipazione politica è legata all’uso del tempo: tempo per informarsi, tempo per discutere, tempo per partecipare a manifestazioni, comizi, incontri.

Più sono grandi le disuguaglianze e minore è la partecipazione delle donne al voto

Le donne giovani hanno più tempo per la vita politica, e quelle più istruite partecipano addirittura più dei loro coetanei maschi. Tuorto e Sartori sottolineano anche che la partecipazione al voto potrebbe essere un riflesso del desiderio delle giovani donne di prendere parte alla sfera pubblica, desiderio che si riflette anche nella loro maggiore propensione allo studio.

Il livello di istruzione differenzia il comportamento elettorale tra donne e uomini, per le donne lo studio rappresenta un propulsore sia per trovare un lavoro che per andare a votare. L’occupazione è determinante per la partecipazione: se guardiamo alla dimensione geografica del voto (ma anche della partecipazione civica) le donne partecipano di più alla vita politica nel nord Italia dove il tasso di occupazione è in linea con la media europea, e nei piccoli centri dove la gestione dei tempi e l’accesso ai servizi sociali è facilitata.

Giovani, occupate, istruite, residenti in piccole città specialmente al nord: se questo è il profilo delle donne che partecipano di più alla vita politica, il profilo dell’astensionista è invece una donna di più di sessant’anni, residente in una città del sud, con un basso titolo di studio e, verosimilmente, povera (questo dato non lo abbiamo ma probabilmente non è sbagliato). Il divario di genere (di ben 20 punti percentuali) è attribuibile principalmente a questo segmento di popolazione che vive una situazione di marginalità sociale.

Facendo una generalizzazione, più sono grandi le disuguaglianze e minore è la partecipazione delle donne al voto. E il divario di partecipazione aumenta nell’età adulta, perché la condizione delle donne nel mercato del lavoro – in termini di occupazione, salariali e di qualità – peggiora con il passare degli anni e si trasformano in una cattiva vecchiaia.

In questa prospettiva, maggiore è il livello di istruzione, l’autonomia economica, la disponibilità di tempo libero, l’accesso all’informazione, maggiore è la partecipazione al voto delle donne. Forse l’astensionismo delle donne potrebbe quindi essere letto come la protesta di migliaia di italiane rispetto alle loro condizioni di marginalità. Se questa ipotesi fosse plausibile, non c’è da sorprendersi che in queste elezioni ci sia stato un record di astensionismo femminile e a vincere sia stata la leader di un partito che ha come orizzonte di riferimento la famiglia patriarcale e la divisione tradizionale dei ruoli.

Barbara Leda Kenny sarà al festival di Internazionale a Ferrara il 2 ottobre con un incontro sull’urbanistica femminista.

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