Zarzis, Tunisia, marzo 2011. Le spiagge intorno a Zarzis sono note per essere il punto di partenza delle traversate degli immigrati che cercano di raggiungere l’isola di Lampedusa. (Dan Kitwood, Getty Images)

Tra il 1900 e il 1914 la Tunisia è stata la destinazione principale dell’emigrazione italiana verso il continente africano. L’Africa mediterranea ha da sempre rappresentato una meta naturale per la forza lavoro italiana che è riuscita a sviluppare, nel tempo, catene migratorie consolidate e crescenti e proficui scambi di merci e conoscenze (tra il 1500 e il 1600 la lingua straniera più parlata in Tunisia era l’italiano).

Alla fine degli anni venti del novecento vivevano in Tunisia poco meno di centomila italiani, in particolare siciliani e sardi, che al tempo erano la comunità immigrata più numerosa. Quali furono le ragioni?

In primo luogo, il costo di trasporto era relativamente modesto e il viaggio piuttosto breve (con sole 5 lire e una traversata di sei ore i siciliani potevano raggiungere Tunisi da Palermo su piccole barche a vela chiamate “bilancelle”). In secondo luogo, il lavoro era meglio retribuito che in Italia: nel 1905 un bracciante in Sicilia guadagnava l’equivalente di un franco al giorno mentre in Tunisia prendeva da 2 a 4 franchi (gli operai specializzati sardi che lavoravano nelle miniere arrivavano a guadagnare fino a 9 franchi al giorno). In terzo luogo, i contadini siciliani erano particolarmente attratti dalla possibilità di acquistare la terra che coltivavano. Mentre in Sicilia non c’era modo di scalfire la proprietà dei grandi latifondisti, in Tunisia c’era un sistema di affitto basato su un tipo di contratto, chiamato di enzel (o inzâl), che permetteva dopo sedici anni di diventare piccoli proprietari terrieri.

Col passare del tempo, gli italiani formarono una comunità coesa, costruirono scuole e ospedali. Ma con la guerra le cose cambiarono e tra il 1940 e il 1965, prima la Francia e poi il nuovo governo tunisino indipendente (1956) perseguirono una politica di allontanamento degli stranieri. L’operazione di decolonizzazione raggiunse l’apice il 12 maggio 1964, quando il governo avviò la nazionalizzazione della terra. L’alternativa all’esproprio era scegliere di diventare tunisini, ma “gli italiani d’Africa” preferirono partire in massa, con l’aiuto del governo italiano.

Dagli anni ottanta l’Italia da terra d’emigrazione si è trasformata in terra d’immigrazione. La vicinanza geografica e il legame con il Mediterraneo hanno reso la Sicilia una meta privilegiata dei flussi migratori tunisini, impiegati nella pesca e nell’agricoltura. Si trattava inizialmente di una migrazione temporanea e circolare: dopo alcuni mesi di attività, i tunisini tornavano a casa per il resto dell’anno. Con l’aumento delle leggi e dei controlli sull’immigrazione, si è verificata una crescita della presenza di nuclei familiari e un aumento dell’immigrazione irregolare.

I persistenti problemi economici e l’anemico mercato del lavoro tunisino spingono ancora i giovani a lasciare il paese. L’Italia ha di recente aumentato gli aiuti allo sviluppo per offrire nuove opportunità di lavoro in patria e frenare così le partenze. Tuttavia, i cambiamenti richiedono tempo.

Da questo breve excursus si evince come, per entrambi i paesi, l’emigrazione abbia rappresentato un sollievo alla povertà e alle difficoltà economiche contingenti, ma non una soluzione politicamente praticabile nel lungo periodo. ◆

Francesca Fauri è professoressa associata presso il dipartimento di scienze economiche dell’università di Bologna.

F. Fauri, D. Strangio, The economic bases of migration from Italy: the distinct cases of Tunisia and Libya (1880s- 1960s), The Journal of north african studies (2019)

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