Statua di Dante Alighieri, Napoli, 18 febbraio 2021. (Rosario Buonocore, EyeEm/Getty Images)

Di nessuna opera di Dante Alighieri è giunto fino a noi un autografo o un manoscritto da lui in qualche modo controllato. In particolare il testo della Commedia ci è arrivato grazie ad alcune centinaia di copie manoscritte, distese fra il 1330 e la fine del quattrocento, quando si impose la tradizione a stampa. Come si intuisce questa massa di manoscritti è cresciuta a partire da una singola radice (il testo originale o un suo discendente, anch’esso perduto), a somiglianza di un grande e ramificato albero.

Per ricostruire la genealogia delle copie, e quindi individuare i documenti effettivamente utili all’edizione, cioè i “testimoni” che possiamo ricondurre alla prima ramificazione dell’albero, esistono metodi affinati fin dalla metà dell’ottocento. Ma anche una volta raggiunto questo obiettivo, per stabilire il testo più vicino possibile all’originale, occorre scegliere tra le differenti varianti che presentano i diversi rami. Allo stesso verso, per esempio, in certi manoscritti si legge “donne”, in altri “gonne”. Spesso non è facile distinguere l’errore, ossia la cattiva trascrizione per difetto del copista, dalla lezione ammissibile. Lo si può fare considerando lo stile e la cultura dell’autore nonché tanti altri aspetti legati alla lingua e alla scrittura.

La Società dantesca italiana (Sdi) ha fra i suoi compiti la cura dell’edizione nazionale delle opere dell’Alighieri. Per il sesto centenario della morte del poeta, nel 1921, pubblicò in un unico volume la prima edizione delle opere condotta con criteri scientifici, a cura di Michele Barbi e dei suoi collaboratori. In particolare, il testo della Commedia fu stabilito da Giuseppe Vandelli. Nel 1966 Giorgio Petrocchi pubblicò una nuova edizione del poema, corredata di un amplissimo studio sulla tradizione manoscritta e di un apparato (cioè una trascrizione in nota) di varianti.

La proposta di una nuova edizione a cinquantacinque anni di distanza risponde a esigenze strettamente scientifiche. Era infatti necessario riconsiderare i risultati conseguiti da Petrocchi alla luce dei contributi che la filologia e la critica hanno dato alla miglior comprensione del poema, alla sua “lezione” e alla storia della sua diffusione. Rispetto a quella di Petrocchi, la nuova edizione nazionale si fonda su una genealogia più selettiva (otto “testimoni” fondamentali). In molti casi, porta argomenti che inducono a rivedere le scelte fatte nel 1966. In altri a confermare scelte contestate in anni recenti da altre edizioni.

Per esempio, nella famosa dichiarazione di Francesca (Inferno V) si dà ora rilievo a “(i)l modo ancor n’offende” (cioè “nuoce a entrambi, a me come a Paolo”), piuttosto che m’offende. Mentre, nella battuta attribuita all’ombra di Bonagiunta (Purgatorio XXIV) si conferma la lettura “il nodo / che ’l Notaro e Guittone e me ritenne / di qua dal dolce stil novo ch’i(o) odo”, rispetto a “dolce stil, il novo chiodo”, che nel 2001 fece addirittura parlare di “esplosione” del canone letterario italiano.

Giorgio Inglese è professore di letteratura italiana all’università La Sapienza di Roma.

D. Alighieri, Commedia, a cura di G. Inglese, Le lettere (2021)

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