L’isola di Mozia, in Sicilia, uno dei siti studiati dalla Sapienza. (Lorenzo Nigro)

Come si è formata la cultura mediterranea? Quali sono le sue radici più profonde e come si sono integrate e scontrate culture tanto diverse attraverso i secoli? Si può parlare di un patrimonio ideologico, sociale e tecnologico condiviso? Un gruppo di più di cinquanta ricercatori di tre università (la Sapienza di Roma, l’università di Sassari, l’università della Tuscia) e dell’Istituto di scienze per il patrimonio culturale del Consiglio nazionale delle ricerche, sta cercando di rispondere a queste domande attraverso il progetto I popoli del “mare di mezzo”. Innovazione e integrazione nel Mediterraneo antico.

Tutto parte da un’idea semplice: le invenzioni e le innovazioni si diffondono spontaneamente anche tra comunità di culture diverse e questo stimola il confronto e l’integrazione. Tracciare le più antiche invenzioni tecnologiche, i primi cambiamenti economici e sociali nel “mare di mezzo”, secondo una felice definizione dell’archeologo britannico Cyprian Broodbank, può servire a individuare i tempi e i meccanismi dello scambio culturale e dell’integrazione sociale.

La ricerca è stata articolata in tre filoni: cultura, tecnologia e società. Per esempio: quando e come si è iniziato a scrivere con l’alfabeto (e prima come si scriveva)? Quando e come si è diffuso l’uso del tornio da vasaio? Come si integrano i culti e le credenze delle popolazioni preistoriche del Mediterraneo con quelle dei naviganti orientali che si spingevano in occidente? Quali sono le tradizioni culinarie di ciascuna cultura e come si sono formate e hanno interagito? Non sono cose già note. Anzi, la ricerca ha messo in luce dei problemi di base, come per esempio la cronologia. Le periodizzazioni stabilite dagli studiosi nelle diverse aree del Mediterraneo e nel Levante non coincidono: lo stesso reperto può essere datato in un’epoca a oriente e in un’altra a occidente.

Per questo sono stati raccolti nuovi campioni da sottoporre all’analisi del radiocarbonio, facendo attenzione ai siti archeo­logici, che devono essere molto ben scavati, e ai risultati degli studi pubblicati, per avere punti di riferimento cronologici affidabili. Quando l’eruzione vulcanica di Santorini intorno al 1600 a.C. pone fine alla civiltà minoica, lasciando aperte le porte dell’occidente ai naviganti orientali, tra una sponda e l’altra del Mediterraneo esistono differenze abissali. Nel Vicino Oriente, in Egitto e nel Levante già dal 3000 a.C. esistono le città-stato e la scrittura, società avanzate con istituzioni religiose, civili, sistemi ideologici e politici e strumenti tecnologici che non hanno paragoni in occidente.

Quest’ultimo a sua volta non è privo di culture “alte”, anzi, le civiltà preistoriche dell’Europa, delle isole maggiori (Cipro, Creta, Malta, Sicilia, Sardegna, Baleari) e del Nordafrica producono monumenti impressionanti che testimoniano le capacità di culture diverse, non meno complesse di quelle orientali.

Attraverso un database e un sistema di tracciamento gli archeologi hanno comparato innumerevoli dati distributivi e qualitativi, osservando come il modello della fiaccola della civiltà che si diffonde da oriente a occidente (Ex oriente lux) non sia sufficiente a rappresentare quello che è avvenuto lungo le sponde del Mediterraneo per più di mille anni.

È stata, al contrario, l’interazione tra le diverse culture a generare le invenzioni e i progressi, gli scontri e le sovrapposizioni che, in un processo plurimillenario, hanno reso patrimonio comune esperienze molto diverse costituendo la civiltà mediterranea ben prima dell’avvento di Roma.

Lorenzo Nigro è professore di archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico presso la facoltà di lettere e filosofia dell’università La Sapienza di Roma.

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