Il linguaggio organizza il pensiero o il pensiero organizza il linguaggio? La ricerca scientifica su cui sto lavorando insieme ad Artemis Alexiadou dell’università Humboldt di Berlino e Uli Sauerland del centro Leibniz di Berlino tenta di rispondere a questa domanda con un approccio mai sperimentato prima d’ora.

Il progetto LeibnizDream, vincitore del finanziamento Synergy dell’European re­search council, trae ispirazione dal pensiero del filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz, che era convinto che il linguaggio rappresentasse uno specchio del pensiero. Sulla base di quest’idea, abbiamo proposto che si possa individuare la struttura del pensiero, cioè i significati che si intendono comunicare, attraverso lo studio dell’acquisizione del linguaggio da parte dei bambini.

Non solo dei bambini che imparano l’italiano o il tedesco, ma anche di quelli che parlano una delle tante lingue del mondo: yoruba, cinese mandarino, georgiano, tagalog e molte altre. A tale scopo il progetto ha coinvolto ricercatori di diversi paesi del mondo, offrendo una possibilità straordinaria di confrontare le lingue dei bambini.

I ricercatori suggeriscono che non ci sia una corrispondenza uno-a-uno tra linguaggio e pensiero. Il pensiero, estremamente complesso e ricco, verrebbe espresso attraverso il linguaggio solo dopo aver subìto un processo di “compressione”, ossia una riduzione della ricchezza concettuale del pensiero nel linguaggio.

L’ipotesi che viene esplorata nel progetto è che il processo di compressione funzioni in modo meno efficace nei bambini che quindi esprimono un pensiero meno compresso e più ricco di componenti concettuali.

Un dato a favore di questa ipotesi è rappresentato dalle produzioni non adulte o “errori” in cui i bambini producono più parole degli adulti. Per esempio molti bambini italiani tra i 4 e i 5 anni commettono l’errore di dire “la macchina con senza ruote”. Con lo sviluppo, la parola “con” sparisce spontaneamente o è compressa.

Se si pensa alla parola “senza” in inglese (without), è facile notare come essa sia effettivamente composta da entrambe le componenti “con” (with) e “senza” (out). L’errore “con senza”, osservato anche in bambini portoghesi, tedeschi e olandesi, ci rivela così la struttura concettuale sottostante alla parola “senza”, che implica in effetti la presenza (con) della mancanza di un attributo (senza ruote).

Quello che si può considerare un errore in una lingua non lo è in altre. Per esempio la traduzione letterale di “Maria non ha visto nessuno” in inglese “Maria did not see nobody” non è “corretta” per le persone adulte (la frase corretta sarebbe “Maria saw nobody”).

Tuttavia i bambini inglesi tra i 4-5 anni producono proprio frasi di questo tipo. Si può pensare che la struttura concettuale contenga due concetti, uno di negazione e uno di esistenza. Questi in italiano sono entrambi espressi con “non” e “nessuno”, ma in inglese sono compressi in un’unica parola (nobody).

Nella prospettiva di Leibnizdream l’acquisizione del linguaggio consisterebbe nell’imparare come comprimere nella specifica lingua. Questi esempi illustrano anche un altro elemento originale del progetto: guardare una sola lingua è insufficiente, occorre guardare a molte lingue dei bambini, perché la pluralità è il migliore specchio del pensiero.

Attraverso il confronto tra le lingue dei bambini il progetto mira, nei prossimi sei anni, a costruire una nuova teoria linguistica in grado di rendere conto della strutturazione universale del pensiero e una nuova teoria dell’acquisizione del linguaggio.

Maria Teresa Guasti è professoressa presso il dipartimento di psicologia dell’università degli studi di Milano Bicocca.

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