I Nu Genea rispondono alla chiamata su Zoom per l’intervista di ritorno da un tour in Australia. Tre date in quattro giorni tra Melbourne e Meredith, con una risposta di pubblico bellissima. Dietro Lucio Aquilina c’è una finestra da cui entra il sole, che fa pensare poco al dicembre in cui ci sentiamo, ma somiglia molto a quello disegnato sulle copertina del loro ultimo album Bar Mediterraneo, uscito in primavera.

Massimo Di Lena invece è quasi al buio, e scherza sul fatto che dal bar, lui, ci è appena tornato. “E di corsa, tra l’altro, spiegando che avevo questa intervista. Ho conosciuto un tipo pazzesco, che raccontava storie assurde, interessanti. Alla fine per noi mediterranei il bar è un luogo d’incontro”. Hanno entrambi un marcato accento napoletano, durante la conversazione bevono altri due caffè fatti in casa e si girano un paio di sigarette. E parlano con entusiasmo della loro musica, completandosi a vicenda le risposte.

Non proprio quello che ci si aspetta da un gruppo così, arrivato ovunque nell’ultimo anno e che ora potrebbe risparmiarsi, almeno nelle interviste. “Al Meredith Festival gli spettatori si sono tolti ciascuno uno stivale e hanno cominciato a muoverlo in aria durante il nostro concerto. Pare sia una tradizione riservata a quello che ritengono il miglior gruppo della manifestazione”, raccontano. In quel momento sul loro sito stanno arrivando diversi ordini dall’Australia: hanno fatto colpo anche lì.

Il primo tassello di questo nuovo percorso è stato Nuova Napoli, “nato dalla nostalgia per casa che sentivamo a Berlino”

I Nu Genea sono, appunto, Lucio Aquilina e Massimo Di Lena, due musicisti di Napoli diventati cittadini del mondo. Hanno una storia che fa pensare ai CCCP, perché anche loro come Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni sono emigrati a Berlino in cerca d’ispirazione, e ne hanno tirato fuori un suono che li riconnettesse alle proprie radici e al tempo stesso fosse originale. Per Ferretti e Zamboni si parla degli anni ottanta, e il risultato era punk “filosovietico” con derivazioni industrial e i piedi nell’immaginario della rossa Emilia, dove il Pci era religione.

Per loro invece, dopo l’inizio nella techno-house minimale e una collaborazione con il leggendario batterista nigeriano di afrobeat Tony Allen, la svolta è arrivata assecondando “ciò che abbiamo dentro”, per quanto semplice. “Se cerchi di imitare il dj di Chicago, il dj di Chicago sarà sempre più bravo di te”, sorride Di Lena. “E poi”, aggiunge Aquilina, “ci muovevamo in un genere troppo codificato, in cui la creatività andava in qualche modo ‘incanalata’ all’interno di paletti. Abbiamo preferito immaginare direttamente una cosa nostra, che ci appartenesse di più”.

La “cosa” in questione è un recupero del funk napoletano anni settanta e ottanta, dal neapolitan power di Pino Daniele e James Senese al pop dimenticato che loro stessi hanno portato alla luce partecipando al progetto Napoli Segreta, in cui andavano per mercatini in cerca di vinili impolverati, mai digitalizzati. C’era un tesoro, in quei solchi, ma niente di nuovo: è il digging, l’attività di ricerca di lavori sconosciuti fondamentale per un dj. “E infatti è un aspetto che ci è rimasto del periodo techno”, concordano. “L’altro è l’idea di movimento: ogni nostro pezzo fa ballare”.

Il primo tassello di questo nuovo percorso è stato Nuova Napoli (2018), “nato dalla nostalgia per casa che sentivamo a Berlino, comunque già contaminato con altri suoni che ci piacciono, come la musica cubana”, e che li ha resi artisti di culto nel nostro paese e non solo. “Ma era un tentativo, non ci aspettavamo mica tutto questo successo”, spiega Aquilina.

Un 2022 straordinario

Bar Mediterraneo invece ha rotto gli argini e reso l’immaginario è più ampio, anche se i testi sono sempre in napoletano (”le sue parole tronche ci aiutano con la metrica, è un dialetto che rende il cantato più musicale”) e il genere di riferimento è rimasto lo stesso. Un incrocio, cioè, tra tradizione e attualità, funk ed elettronica “che ti fa ballare”.

In canzoni come Marechià e Tienaté, infatti, i sintetizzatori incontrano strumenti classici come percussioni, chitarre acustiche, mandolini, cori. Di Lena e Aquilina ci lavorano insieme, da soli, in studio; poi una volta completati i provini, fanno suonare le parti che non li soddisfano a musicisti “veri”, che ormai sono diventati la loro band dal vivo. Solo che, appunto, stavolta c’è il Mediterraneo intero, “un posto che è una sensazione”.

Nuova Napoli infatti era figlio della mancanza, un sentimento passato con l’opportunità di tornare spesso, anche solo per i concerti. Ora tra l’altro Aquilina si è trasferito addirittura in Sicilia. “Ci siamo guardati intorno, piuttosto. Per definire una musica ‘di mare’ in generale, collaborando con artisti con Marzouk Mejri, tunisino, e Célia Kameni, francese”. Ecco quindi suoni tropicali e nordafricani, oltre a un modo personale di interpretare i modelli del passato. “Già un brano come Ddoje facce era boogie, ma storicamente i pezzi boogie hanno nel testo quattro parole, perché dovrebbero far ballare e basta”, commenta Di Lena. “Noi invece ci inseriamo liriche più sviluppate. La stessa Marechià sembra divertente, ma ha un testo molto malinconico”.

Eppure questo straordinario 2022, in cui hanno riscosso successi in tutto il mondo e sono finiti in radio e in classifica da gruppo indipendente, che fa “tutto da solo”, è difficile da inquadrare fino in fondo anche al netto di tutto questo. Forse la chiave è che, almeno in Italia, quest’estate hanno rappresentato un’alternativa al pop classico, sia per quanto riguarda i tormentoni in stile La dolce vita di Fedez, Tananai e Mara Sattei e sia per le svolte da musica leggera dell’it-pop (Tommaso Paradiso, Carl Brave e Noemi, La Rappresentante di Lista) e del rap (Shakerando di Rhove).

“Nel nostro paese ci si è un po’ omologati, un progetto così può funzionare con chi cerca diversità”. Evidentemente, tanti. “E c’entra, credo, l’aver cominciato a scrivere canzoni ‘classiche’, con strofe e ritornelli, perlomeno in radio”. All’estero, però, c’è più competizione. Sempre per Aquilina, un fattore è “che usiamo la voce come uno strumento classico, senza metterla troppo in risalto”. “Gran parte degli stranieri che ci sentono per la prima volta”, prosegue Di Lena, “non capisce il dialetto. Pensano sia portoghese, perfino turco. Poi, se approfondiscono, scoprono la realtà, e che la nostra musica ha un immaginario con Napoli al centro che li affascina. Non ci percepiscono quasi mai come ‘italiani’, ma spesso come partenopei”.

Troviamo sempre un’ora di tempo per andare nel posto più strano della città in cui facciamo tappa in tour

Un immaginario di successo che, tra l’altro, loro stessi continuano a esportare: oltre all’attività dal vivo, nel 2022 hanno fatto dj-set con i dischi che l’ispirano, in festival come il C2C di Torino gli è stata affidata l’intera direzione artistica di un palco e poi, per i tanti che gli scrivono su Instagram chiedendogli consigli su dove mangiare a Napoli, hanno perfino preparato un pdf da inviare come risposta.

E se ai tempi di Nuova Napoli una band così si poteva inserire in quel grande movimento che, da Liberato alle serie tv, stava contribuendo a rilanciare l’immagine della città, ora la loro identità è talmente grande da staccarsi da quella corrente artistica. “Finalmente siamo noi stessi: veri e sinceri, napoletani proud di esserlo”, dice di Lena. “È una conquista interiore: suoniamo la musica che ci piace, e se siamo gli unici a farla poco importa; basta che ci fa stare bene”.

E proprio questo “star bene” è il senso dei loro concerti, feste in cui sono accompagnati da otto musicisti, dove si canta e si balla, che in Italia sono state tra le più partecipate della scorsa estate e in paesi come la Norvegia hanno coinvolto fino a diecimila spettatori di un festival, verosimilmente arrivati fino lì per ascoltare altro. Ripetono che il nucleo è “il movimento”, e in questo le serate in cui si limitano a mettere dei dischi sono un ottimo test per capire quali elementi inserire una volta sul palco, per creare la giusta atmosfera. È un approccio efficace, ma vecchia scuola.

“E poi, come motore, c’è comunque l’ascolto di nuova musica, il digging”, dice Aquilina. Di Lena: “Troviamo sempre un’ora di tempo per andare nel posto più strano della città in cui facciamo tappa in tour. Perché è un’occasione per compiere un’esperienza, per incontrare delle persone, delle storie. A volte l’essere umano tende a non interagire con l’estraneo, ma dal punto di vista musicale ti ispira tanto. Con il tempo vorremmo scoprire i ritmi di tutto il mondo, cogliere quelli che ci piacciono, in modo che la nostra musica sia sempre più contaminata”. E quando gli si fa presente che, per questo, le loro canzoni da outsider del pop del 2022 hanno un’anima artigianale, i Nu Genea sorridono.

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