Il ghiaccio roccioso di Lazaun in Val Senales, Alto Adige. (Stefano Brighenti)

Gli ambienti di alta montagna sono tra le zone dove gli effetti della crisi climatica sono più intensi. L’aumento delle temperature, un innevamento sempre più esiguo, la scomparsa dei ghiacciai e i relativi problemi di scarsità idrica sono gli effetti più evidenti di mutamenti profondi, che interessano il complesso intrecciarsi degli habitat alpini e della loro biodiversità.

Piante, animali e microganismi in alta quota si sono, infatti, adattati alle basse temperature e alle condizioni estreme degli habitat terrestri e acquatici (innevamento prolungato, scarsità di nutrienti, intensità dei raggi ultravioletti). Adattamenti sorprendenti, come la capacità di alcuni invertebrati di produrre sostanze antigelo nei tessuti corporei durante il rigido inverno, permettono alle poche specie idonee di sopravvivere.

Desta quindi preoccupazione la perdita di biodiversità in alta quota, che cerca di tenere il passo con un ecosistema in rapido cambiamento. Per esempio alcuni organismi migrano verso l’alto, seguendo la risalita delle zone climaticamente più favorevoli per loro. Fino a quando più in su non rimarrà che la cima dei monti. E la scomparsa dei loro habitat li condurrà all’estinzione in molti luoghi, nell’arco di qualche decennio.

Una speranza per alcune di queste specie a rischio è offerta da particolari forme del paesaggio, diffuse e abbondanti nelle montagne di tutto il mondo. Si tratta di grandi coltri di detrito roccioso che nascondono il ghiaccio sotto la loro superficie. Le più note, i rock glacier (ghiacciai rocciosi), hanno dimensioni talvolta paragonabili a quelle di piccoli ghiacciai e una caratteristica forma a “blob”, conferita da un lento movimento verso valle. Protetto da decine di metri di grandi massi e abbondanti spazi vuoti, il ghiaccio sotterraneo viene perso dalle dieci alle cento volte più lentamente rispetto a quello dei ghiacciai.

Un po’ come enormi frigoriferi di alta quota, queste “gelide morfologie rocciose” mantengono basse le temperature anche in superficie e nell’acqua delle sorgenti che sgorga dalla loro fronte. Per questo motivo i ricercatori ritrovano in questi ambienti le specie tipiche di quote ben più elevate (fino a più di mille metri), o addirittura quelle tipiche dei ghiacciai e dei loro torrenti. Anche in vallate dove i ghiacciai sono ormai assenti.

Si tratta di una piccola speranza a medio termine valida, tuttavia, solo per alcuni degli organismi climaticamente sensibili di alta quota. Non è chiaro ancora quante specie potranno trovare rifugio negli habitat offerti dalle gelide morfologie rocciose. Né per quanto tempo queste “oasi termiche” sopravviveranno a climi sempre più inospitali.

Sicuramente, sarà fondamentale proteggere questi ambienti dalla voracità antropica. Le pressioni locali – captazioni idriche, urbanizzazione, pascolo intensivo e impianti turistici, per citarne alcune – intensificano infatti gli effetti della crisi climatica, minacciando ulteriormente la sopravvivenza dei fragili ecosistemi alpini e della loro biodiversità unica.

Stefano Brighenti è assegnista di ricerca presso la facoltà di scienze e tecnologie della Libera università di Bolzano.

S. Brighenti et al., Rock glaciers and related cold rocky land­forms: overlooked climate refugia for mountain biodiversity, Global Change Biology (2021)

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