Il crollo del ghiacciaio della Marmolada il 3 luglio, con il suo bilancio di undici vittime, non è stato una fatalità: sono state le temperature insolitamente alte a causare il distacco del seracco. I ghiacciai sono termometri inconfutabili del riscaldamento globale. E il fatto che stiano scomparendo, collassando a volte su se stessi, è segno che la crisi climatica si sta avvicinando ai punti di non ritorno indicati dai rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc).
L’Italia ha una posizione paradossale: è il paese europeo più colpito dalla crisi climatica e quello dove la politica e i mezzi d’informazione si ostinano più accanitamente a negarla o a minimizzarla.

I record di temperature si susseguono: i dati dell’Isac-Cnr di Bologna segnalano che il 2022 è finora l’anno più caldo mai registrato nel nostro paese. L’incidenza di eventi atmosferici estremi è aumentata in modo esponenziale: secondo il database europeo che li monitora (eswd.eu), si è passati in Italia dai 47 del 2001 ai 2.062 del 2021, con un aumento di 44 volte. Il mar Mediterraneo, secondo l’Enea, ha una temperatura media più elevata di quattro gradi rispetto alle medie stagionali. Non si tratta di numeri astratti: riguardano la tenuta dei territori, la salute dei campi e degli ecosistemi, la disponibilità delle risorse idriche. Insomma, la vita di tutti noi.

Il presidente del consiglio Mario Draghi, arrivato a Canazei all’indomani del crollo del ghiacciaio, ha solennemente dichiarato che il suo governo s’impegnerà affinché tragedie di questo tipo non si ripetano. Per evitarle, è necessario mettere in campo serie politiche di adattamento: mettere in sicurezza i territori esposti a rischio idrogeologico, rafforzare la capacità di trattenere l’acqua piovana quando cade, rendere le città meno vulnerabili ad alluvioni e ondate di calore. Politiche che richiedono una strategia complessiva, che oggi il nostro paese non ha.

Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), che un gruppo di esperti ha stilato per conto del ministero dell’ambiente nel 2017, giace da allora in un cassetto in attesa di una valutazione ambientale strategica che inspiegabilmente non è stata istruita. Se vuole che le sue dichiarazioni non risuonino come parole vuote, Draghi dovrebbe far approvare senza tentennamenti il Pnacc e considerare il contrasto alla crisi climatica una delle priorità della propria azione di governo.

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