Confronti

La bandiera bianca è segno di resa o di realismo?

L’idea del papa di negoziare con Putin sull’Ucraina è un’ingenuità pericolosa. Bisogna soppesare le parole

Undici anni fa, Jorge Mario Bergoglio usciva dalla loggia della basilica di San Pietro e si presentava al mondo. Abbiamo presto capito che il suo sarebbe stato un pontificato molto, molto diverso. E lo è stato. Eppure oggi è giusto criticare Francesco per i suoi recenti commenti a proposito della guerra in Ucraina.

In un’intervista rilasciata all’inizio di marzo, il papa ha dichiarato: “Credo che il più forte sia chi vede la situazione, chi pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e di negoziare”. L’ufficio stampa del Vaticano ha diffuso una nota di chiarimento sottolineando che il papa aveva proposto l’immagine della bandiera bianca solo perché era stata usata dall’intervistatore. E che “il papa usa il termine bandiera bianca per indicare la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato”. Ma la metafora della bandiera bianca è solo una parte del problema.

Aula Paolo VI, Vaticano, 14 febbraio 2024 (Guglielmo Mangiapane, Reuters/Contrasto)

Ci sono altri tre dubbi sull’approccio del papa alla situazione in Ucraina. Il primo è radicale: vogliamo un papa che affronti questioni morali, non uno che sostenga la guerra o si schieri a favore di una parte. Il papa deve parlare di pace e verità etiche. Questi due compiti, però, contrastano con la necessità dell’Ucraina (pienamente giustificata) di difendersi da un’aggressione ingiusta. Il secondo problema è che gli appelli del papa per la pace spesso non tengono conto del modo in cui saranno recepiti. Il teologo Tobias Winright ha scritto su La Croix International: “Come possono sentirsi un soldato ucraino o un civile che hanno imbracciato le armi per difendere i loro concittadini quando un papa o altri condannano l’uso della forza?”. Sicuramente intaccare il morale delle truppe non era nelle intenzioni del papa, ma è una conseguenza reale. Allo stesso tempo, non c’è il minimo dubbio sul fatto che Vladimir Putin e i suoi amici sfrutteranno a fini propagandistici le parole sulla “bandiera bianca”.

Il terzo problema è il più complesso: il papa ha valutato male il peso del negoziato. Magari per certi paesi una trattativa con Putin potrebbe risultare produttiva, ma l’Ucraina non è tra questi. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj lo ha capito fin dall’inizio: di Putin non ci si può fidare. Francesco non è il primo ad aver ingenuamente pensato che il negoziato sia sempre una soluzione. Dopo il massacro della prima guerra mondiale, il premier britannico Neville Chamberlain pensava davvero di aver ottenuto “la pace per il nostro tempo” quando tornò da Monaco avendo sacrificato la Cecoslovacchia in cambio della promessa di Hitler di rinunciare a ulteriori rivendicazioni. Zelenskyj comprende quello che Chamberlain non capiva allora e che il papa non capisce oggi.

Decidere quando entrare in guerra o quando avviare un negoziato per porre fine a una guerra, così come stabilire quando i termini di un accordo sono accettabili, ha bisogno di valutazioni molto complesse. Per esempio, bisogna considerare se quei termini saranno rispettati e soppesare il costo umano e morale di una continuazione della guerra contro il costo umano e morale di una capitolazione o di un compromesso. Queste valutazioni spettano agli statisti e non ai religiosi.

Il papa, inoltre, dovrebbe tenere presente la vigorosa dichiarazione del sinodo dei vescovi della chiesa cattolica ucraina, diffusa a febbraio, che comincia con le parole del profeta Geremia: “Liberate l’oppresso dalle mani dell’oppressore”. Quegli uomini sono i pastori della chiesa in Ucraina, il cui gregge è minacciato quotidianamente da una guerra terribile. La loro testimonianza cristiana non deve essere ignorata né contrastata da una inaccurata scelta di parole durante un’intervista. Quindi, in questo anniversario della sua elezione, auguro a Francesco molti altri anni di vita e di governo. Ad multos annos. E forse molte meno interviste. ◆ as

Questo articolo è uscito sul National Catholic Reporter, una rivista progressista statunitense fondata nel 1964 che si occupa della chiesa cattolica.
Michael Sean Winters è un giornalista e saggista statunitense.

Il suggerimento di Francesco ha sollevato un argomento difficile per gli alleati di Kiev. Ma deve arrivare il momento di trattare

Nei mesi precedenti all’invasione russa dell’Ucraina molti leader europei hanno nascosto la testa sotto la sabbia, rifiutandosi di ammettere la minaccia di una guerra incombente. Ora che il conflitto è entrato nel terzo anno non osano parlare di pace.

Quando il papa ha ventilato l’idea che potrebbe essere necessario negoziare, ha sollevato una questione di cui quasi nessuno voleva discutere. Le sue osservazioni sono inoltre arrivate in un momento particolarmente difficile per Kiev. La tanto attesa controffensiva dello scorso anno non ha portato progressi decisivi e la Russia sta guadagnando terreno. Nel frattempo il supporto occidentale, in particolare quello degli Stati Uniti, si è improvvisamente fatto incerto. L’ex presidente Donald Trump si sta conquistando un’altra candidatura alla Casa Bianca e i governi europei stanno esaurendo le munizioni.

Alla luce di questa situazione, il papa ha articolato una domanda che probabilmente sarà ripetuta più e più volte nei prossimi mesi: è il momento di pensare seriamente a negoziare con Vladimir Putin? È un interrogativo che scatena una reazione piena d’orrore in molti funzionari occidentali. “Alcuni paesi dell’Europa centrale sono molto sensibili all’ipotesi di una conferenza di pace”, spiega un funzionario dell’Unione europea. “Temono sempre che i prossimi a essere sacrificati a Putin saranno loro”. Per gli ucraini i colloqui di pace sono fuori discussione finché al potere c’è Putin. “Non c’è motivo di credere che rinuncerà a prendersi Kiev solo perché gli avremo concesso la Crimea, il Donbass o Cherson”.

La guerra, in cui sono morti almeno trentamila soldati e diecimila civili ucraini, ha anche trasformato il contesto della sicurezza in Europa: Svezia e Finlandia sono entrate nella Nato e i governi stanno rafforzando la difesa con un aumento delle spese militari e una maggiore cooperazione. L’Ucraina e gli alleati europei sanno però che i loro sforzi sono destinati a uno stallo senza la cosa più importante: il sostegno degli Stati Uniti. A Washington l’argomento dei negoziati non è un tabù. Trump ha detto che lui metterebbe fine alla guerra in ventiquattr’ore. Londra invece – tradizionalmente il più stretto alleato militare degli Stati Uniti – non accetta negoziati. Un uomo vicino al primo ministro Rishi Sunak ha detto che Regno Unito ed Europa vogliono raddoppiare gli aiuti all’Ucraina e dimostrare a Trump e ai repubblicani che questa guerra si può vincere.

Anche in Germania e in Francia i funzionari sono riluttanti a un negoziato con Putin. I diplomatici dell’Europa occidentale non vogliono neppure discutere di un piano in caso di ritiro del sostegno di Wash­ington, temendo che solo il fatto di parlarne possa rendere questa ipotesi più plausibile. Secondo un diplomatico europeo sarebbe “un segnale politico non solo per Putin ma anche per il dibattito in corso al congresso”. Nelle ultime settimane il presidente francese Emmanuel Macron ha irrigidito ulteriormente la sua posizione contro la Russia, sollecitando gli alleati a non essere “codardi” e avvertendoli che lui non esclude l’invio di truppe di terra per combattere contro i russi se necessario.

In pubblico Putin ha detto di essere aperto ai negoziati per mettere fine alla “tragedia” della guerra. A novembre durante il G20 aveva ventilato l’ipotesi di un cessate il fuoco e a gennaio ha dichiarato in un’intervista di non opporsi al dialogo. Secondo la Reuters, funzionari russi hanno avvicinato con discrezione degli esperti dell’amministrazione statunitense per sondare il terreno in vista di una tregua, ma questi approcci sono stati respinti.

La verità è che tra i due fronti le distanze sono incolmabili. Kiev chiede a Mosca la restituzione di tutti i territori annessi dal 2014 oltre a un risarcimento economico. Il Cremlino, dal canto suo, non prende in considerazione l’ipotesi di restituire le quattro regioni ucraine su cui esercita un parziale controllo dopo il 2022. Al contrario, chiede all’Ucraina di disarmarsi, porre fine ai tentativi di entrare nell’Unione europea e nella Nato e tornare nella sfera d’influenza russa.

In privato alcuni rappresentanti dei governi europei ammettono che alla fine sarà necessario negoziare. Secondo il funzionario europeo citato, sebbene “l’idea” di un colloquio di pace sia “impensabile” per paesi che temono di poter essere il prossimo obiettivo di Putin, i più oltranzisti alla fine potrebbero restare delusi: “Bisogna essere realisti; a un certo punto dovremo cominciare a parlare di pace e forse anche rinunciare a un pezzo di territorio”. ◆ gim

Questo articolo è stato scritto con i contributi dei giornalisti di Politico Sam Blewett, Dan Bloom, Emilio Casalicchio, Clea Caulcutt, Aitor Hernández-Morales, Stuart Lau, Veronika Melkozerova, Barbara Moens e Tim Ross.

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1555 - 22 marzo 2024
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