Cultura Suoni
El mirador
Calexico (Holly Andres)

Durante la pandemia i Calexico si sono tenuti impegnati, pubblicando il disco natalizio Seasonal shift nel dicembre 2020 e lavorando a El mirador, il loro decimo album. Anche se Joey Burns e John Convertino non vivono più nella base operativa della band a Tucson, in Arizona, sono tornati in città per registrare nello studio di casa del tastierista Sergio Mendoza. E la sensazione che volevano rivisitare il cuore della loro musica risuona attraverso tutto El mirador. Spesso sembra di ascoltare un riassunto dei principali punti di forza dei Calexico: la lenta cumbia che dà il titolo al lavoro, tra echi spettrali e ritmi giocosi, richiama alla mente lo stile dei loro primi anni di carriera, mentre l’intermezzo noir Turquoise, con un favoloso assolo di tromba, è un gradito promemoria del fatto che un pezzo strumentale fatto da una band del genere non potrà mai essere un riempitivo. La pandemia ha spinto i Calexico a celebrare tutte le cose belle della vita e questa celebrazione include le influenze latine sulla loro musica. La band ha creato un ritmo irresistibile con Cumbia del polvo, uno dei momenti salienti dell’album. Un altro pezzo, The El burro song, dipinge l’immagine di una festa senza sosta con trombe gioiose e violini allegri. Mentre questo tono festivo percorre tutto El mirador, è presente anche una tensione di fondo alimentata dalla consapevolezza che attraversare i confini non è sempre facile. Un altro caro amico e collaboratore del gruppo, Jairo Zavala, appare in Cumbia peninsula, un pezzo che descrive un luogo in cui “la verità viene ridotta in poltiglia”. Joey Burns canta questa ingiustizia in modo più letterale in El Paso: “Combattere per un confine /che è difficile da capire / e più difficile da trovare / della verità in questa terra”. Questo tipo di musica poetica, complessa ma accessibile, è proprio l’essenza dei Calexico: anche se nel corso degli anni si sono allontanati da casa, El mirador mostra che le loro radici sono più forti che mai.
Heather Phares, Allmusic

Wet Leg
Wet Leg (domino)

L’omonimo album delle britanniche Wet Leg è il debutto più seducente e divertente degli ultimi tempi. Un lavoro che vede questo duo dell’isola di Wight esattamente nel pieno dei suoi vent’anni, tra la falsa quiete post diploma, il sesso noioso, ex da dimenticare e le assillanti questioni sull’autostima. In un disco orecchiabile e pop, le Wet Leg infilano perfino qualche idea più audace, come il riff di The man who sold the world di David Bowie o una citazione dal film Mean girls. Brani come Chaise longue segnano il colpo, e restano irriverenti e irresistibili anche dopo il primo ascolto. Le Wet Leg sono state associate, un po’ pigramente, agli Yard Act, ma nel complesso hanno più cose in comune con Jarvis Cocker e i Franz Ferdinand, posizionandosi in quella zona di art pop britannico che riprende vecchie idee con una prospettiva nuova. In effetti, il momento clou dell’album, Angelica, non è affatto una canzone post-punk: il riff di chitarra accenna al vibrante psych-pop del 1967, mentre la voce potrebbe stare su 45 giri della Sarah Records. È curioso come il gruppo sia stato nel mirino dei detrattori su TikTok – il paradiso dei cinici e dei troll – che l’hanno definito un prodotto commerciale, un’interpretazione che comincia a intravedersi anche nella stampa musicale. Online vengono giudicate perché si vestono troppo bene, come se fosse un difetto. Certo, la loro ascesa è stata improvvisa, ma ad alcuni artisti questo succede semplicemente perché sono bravi. Quindi, mettete da parte il vostro cinismo e godetevi i fuochi d’artificio: Wet Leg è un esordio eccezionale.
Robin Murray, Clash

Per il loro ultimo album Pascal Rophé e la sua orchestra della Loira si dedicano a musica di Debussy scritta per il pianoforte e poi orchestrata con l’approvazione del compositore oppure completata dopo la sua morte. Nella loro versione pianistica originale Children’s corner (1906-1908) e La boîte à joujoux (1913) sono pezzi scritti per i bambini (a cominciare dalla figlia di Debussy, Chouchou) e gli adulti, sia come ascoltatori sia come esecutori. La Petite suite (1886-1889), ispirata da poesie di Verlaine, era una commissione dell’editore che voleva pezzi per pianisti dilettanti. L’esecuzione di tutti e tre i lavori è splendida. Rophé è sempre attentissimo ai colori e ai dettagli, e ci fa notare come l’orchestrazione di Henri Büsser tratti En bateau dalla Petite suite quasi come un abbozzo del Prélude à l’après-midi d’un faune. La Boîte è affettuosa e arguta, e l’orchestra è sempre precisa e raffinata, in particolare gli importantissimi legni. Questo è un disco piacevole e interessante.
Tim Ashley, Gramophone

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1456 - 15 aprile 2022

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