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Le ferite ancora aperte a dieci anni dalla strage di Utøya

Astrid Hoem a Utøya, Norvegia, 11 maggio 2021. (Gwladys Fouche, Reuters/Contrasto)

A dieci anni dal giorno in cui Anders Behring Breivik cercò di ucciderla a Utøya, Astrid Hoem è tornata sull’isola norvegese per raccontare a un gruppo di adolescenti come si salvò mentre altre persone morivano intorno a lei. “Ha sparato alle spalle di una ragazza che mi stava accanto e che mi ha supplicato di dire ai genitori che gli voleva bene, perché pensava di morire”, racconta Hoem, 26 anni, agli studenti delle superiori. La ragazza di cui parla è sopravvissuta.

Gli studenti partecipano a un workshop di tre giorni sulla gestione dei conflitti e la lotta contro il razzismo. Ascoltano in silenzio mentre Hoem riporta alla luce i suoi ricordi e racconta che per due ore rimase immobile sotto una roccia. Non chiamò i suoi amici per paura che lo squillo del telefono permettesse a Breivik di individuarli. Era convinta che la Norvegia fosse in guerra.

Il 22 luglio 2011 Breivik fece esplodere un’autobomba fuori dall’ufficio del primo ministro a Oslo, uccidendo otto persone, prima di guidare fino a Utøya e sparare a 69 persone che partecipavano a un campo estivo dell’organizzazione giovanile del Partito laburista. I sopravvissuti, molti dei quali all’epoca erano adolescenti, sono determinati ad affrontare l’ideologia di estrema destra all’origine dell’attacco. “È importante parlarne, perché non voglio che accada ancora”, spiega Hoem.

Emuli e prevenzione
In realtà è già accaduto. A marzo del 2019, in Nuova Zelanda, il suprematista bianco Brenton Tarrant, che per il suo manifesto si era ispirato a Breivik, ha ucciso 51 persone in due moschee.

Pochi mesi dopo il norvegese Philip Manshaus ha ucciso sua sorella adottiva di origini cinesi e ha cercato di sparare ai fedeli di una moschea. Secondo un rapporto degli psichiatri del tribunale, Manshaus ha citato Tarrant come fonte d’ispirazione.

“Quelle opinioni, quelle teorie del complotto, quell’odio… oggi sono più forti di quanto lo fossero dieci anni fa”, ha dichiarato Hoem a Reuters.

Ad aprile, in occasione del congresso, il Partito laburista ha deciso che in caso di vittoria alle elezioni di settembre creerà una commissione per indagare sulla vita di Breivik e Manshaus, per comprendere e prevenire la radicalizzazione. La commissione prenderà in esame anche i casi dei norvegesi che sono diventati combattenti islamisti in Siria.

“Cosa possiamo fare per impedire ai ragazzi, soprattutto ai maschi bianchi, di sviluppare idee talmente estreme da pensare di poter uccidere soltanto perché sono in disaccordo con qualcuno? Dobbiamo capire come scongiurare queste tragedie nelle scuole, su internet, nelle nostre comunità”, spiega Hoem.

Il ruolo della politica
I sopravvissuti vorrebbero discutere pubblicamente alcune tendenze politiche che a loro parere forniscono una giustificazione ideologica alla violenza estremista. Breivik pensava che il Partito laburista avesse tradito la Norvegia perché aveva permesso ai musulmani di vivere nel paese, nell’ambito di quello che considerava un complotto globale per rendere l’Islam la religione dominante in Europa, soppiantando il cristianesimo.

I sopravvissuti ritengono che alcuni politici di destra stiano legittimando questa visione attaccando i musulmani e definendoli una minaccia per la società norvegese.

Nell’ultimo decennio il Partito del progresso, formazione di destra radicale, ha lanciato ripetutamente l’allarme a proposito di una presunta “islamizzazione strisciante” contraria allo stile di vita tradizionale della Norvegia. Il partito, che ha condannato a più riprese le azioni di Breivik, nega che le proprie posizioni alimentino l’estremismo di destra. Tuttavia, la leader Sylvi Listhaug ha ribadito che intende chiedere un approccio politico più severo su immigrazione e integrazione.

Il comportamento dei sopravvissuti contrasta con la risposta offerta all’epoca dalla Norvegia, che aveva enfatizzato l’unità e il consenso. Nei mesi successivi all’attentato il dibattito si era concentrato sugli errori delle autorità, come la risposta tardiva della polizia a Utøya, piuttosto che sulla visione del mondo di Breivik.

“Il decennale del 22 luglio ci offre l’occasione di guardare al passato e ricalibrare il dibattito”, sottolinea Hallvard Notaker, autore del libro Arbeiderpartiet og 22. juli
(Il Partito laburista e il 22 luglio).

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato dall’agenzia di stampa britannica Reuters.

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