20 marzo 2019 12:35

In diverse aree del mondo il terrorismo di estrema destra, principalmente quello legato al “nazionalismo bianco”, sta diventando un problema serio quanto il terrorismo islamico. È sicuramente il caso degli Stati Uniti, dove l’anno scorso l’Accounting office del governo federale ha calcolato che dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 i cittadini statunitensi uccisi da estremisti islamici sono stati 119, mentre 106 sono stati vittime di estremisti di destra.

Altrettanto vero è che quasi tutti gli attentati sono progettati per sfruttare i social network. Brenton Tarrant, l’assassino di Christchurch, aveva con sé diversi fucili semiautomatici, ma la sua vera arma era la telecamera GoPro piazzata sulla testa per trasmettere in diretta il massacro.

Tutto questo sta diventando una consuetudine al livello mondiale, eppure sono rimasto sorpreso quando ho scoperto che un attentato del genere aveva colpito proprio la Nuova Zelanda. Cinquanta vittime in due moschee. La Nuova Zelanda è un paese con una popolazione di più di quattro milioni di abitanti dove l’anno scorso si sono verificati appena 35 omicidi. Poi però si è saputo che il terrorista era un australiano, e la vicenda ha cominciato ad avere un po’ più di senso.

Ostilità contenuta
Scrivo queste parole con una certa riluttanza, perché alcuni dei miei familiari vivono in Australia. Ma resta il fatto che l’Australia è uno dei paesi più razzisti del mondo anglofono. Perfino negli Stati Uniti, da due anni governati da Donald Trump, oggi è meno probabile intercettare frasi razziste o islamofobe (per quanto se ne sentano comunque molte).

La Nuova Zelanda, invece, è più simile al Canada, dove, certo, il razzismo e i pregiudizi nei confronti degli immigrati e dei musulmani esistono, specialmente nelle aree rurali e nel francofono Québec, ma questa ostilità viene di rado manifestata apertamente, perché il rischio è quello di sembrare ignoranti. Per inciso, la gioventù delle città sembra sostanzialmente indifferente al colore della pelle.

Per questo motivo direi che la domanda che oggi dobbiamo porci è la seguente: perché l’Australia è quello che è? Perché tutto mi è sembrato più comprensibile quando ho scoperto che l’assassino islamofobo è un australiano? La risposta va cercata in parte nelle caratteristiche del mondo dell’informazione in Australia, e non sto parlando dei social network. Parlo dei mezzi d’informazione tradizionali e dunque, sostanzialmente, parlo della News Corp e di Rupert Murdoch.

Il motivo per cui gli australiani sono più razzisti dei neozelandesi affonda le sue radici in un passato lontano

Il dominio pressoché assoluto della News Corp nel panorama dei mezzi d’informazione australiani ha pochi eguali negli altri paesi democratici. Il gruppo di Murdoch ha un istintivo atteggiamento islamofobo e xenofobo. D’altronde lo stesso Murdoch aveva già superato i quarant’anni quando la politica dell’”Australia bianca” (con il rifiuto di tutti gli immigrati non bianchi) è stata ufficialmente abbandonata.

Le varie testate della News Corp non si stancano mai di attaccare i musulmani e in generale di veicolare un razzismo spinto. Di recente hanno cominciato a sostenere i concetti del nazionalismo bianco e nel 2018 hanno diffuso ostinatamente il mito del “genocidio bianco” a danno degli agricoltori bianchi del Sudafrica. Il principale opinionista della News Corp, Andrew Molto, ha scritto un editoriale parlando della presunta “grande sostituzione” (dei bianchi causata dagli immigrati non bianchi).

Le radici nel passato
La News Corp ha scelto di stare dalla parte sbagliata in quasi tutti i dibattiti nazionali, dalla partecipazione dell’Australia alle guerre in Vietnam e in Iraq fino al rifiuto di accogliere i profughi soccorsi in mare (che continuano a marcire in centri di detenzione nei vicini paesi insulari del Pacifico come Nauru e Papua Nuova Guinea). Oggi questa politica è talmente normalizzata da avere un sostegno bipartisan nel parlamento australiano.

Naturalmente in questo contesto viene da porsi un interrogativo simile a quello dell’uovo e della gallina. Murdoch e molti dei suoi giornalisti spacciano queste fesserie, ma è altrettanto vero che sono australiani e dunque sono nati in un contesto razzista. Non hanno inventato niente. Al contrario, fanno ciò che gli viene naturale. Il vero motivo per cui gli australiani sono più razzisti dei neozelandesi affonda le sue radici in un passato molto più lontano.

I due paesi sono stati colonizzati a distanza di cinquant’anni l’uno dall’altro da persone provenienti dallo stesso paese e della stessa etnia: inglesi, irlandesi e scozzesi. Ma i popoli che hanno incontrato erano molto diversi tra loro.

Gli aborigeni australiani vivevano in piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori che non avevano mai sviluppato l’agricoltura nonostante avessero abitato quelle terre per 65mila anni. I maori neozelandesi, invece, erano arrivati appena cinquecento anni prima dei bianchi ma avevano già fattorie, vivevano in protostati (territori governati dai capi tribù) e avevano costruito fortezze in tutta la North Island.

L’arrivo dei colonizzatori bianchi fu devastante per i maori, ma erano un popolo abbastanza coriaceo da ottenere il rispetto degli invasori. Quando finalmente fu firmato un trattato, nel 1940, il documento era scritto in entrambe le lingue. Gli omicidi andarono avanti per altri trent’anni e i maori furono duramente colpiti, ma oggi il paese è ufficialmente bilingue e tutti i neozelandesi capiscono (più o meno) che si può e si deve vivere insieme alle persone che sono diverse.

I colonizzatori bianchi dell’Australia, invece, non combatterono alcuna guerra contro pericolosi nemici, ma si limitarono a soggiogare gli aborigeni quasi disarmati che vivevano in piccoli gruppi ed erano divisi da seicento lingue diverse. Gli aborigeni non hanno ottenuto la cittadinanza e il diritto di voto fino al 1967. Per questo motivo i bianchi australiani di oggi non sono esattamente preparati a un mondo segnato dal pluralismo culturale, che anzi alcuni di loro disprezzano profondamente.

La società australiana bianca è diversa da quella neozelandese. È più aggressivamente nazionalista, più legata alle differenze razziali e probabilmente molto più paranoica. Non tutti i bianchi australiani (probabilmente nemmeno la maggioranza di loro) la pensano in questo modo, ma la storia delle violenze razziali in Australia è molto lunga: contro i cinesi nell’ottocento, contro gli italiani negli anni trenta del novecento e contro i libanesi nel 2005.

Questa è la tradizione a cui appartiene Brenton Tarrant, una tradizione che esisteva molto prima che il futuro attentatore cominciasse a frequentare i siti internet dei suprematisti bianchi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it