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La conquista del cioccolato

Teresa Sdralevich

Questo articolo è uscito sul numero 829 di Internazionale.

In tempi di crisi economica le aziende più grandi ne approfittano per mangiarsi quelle più piccole. È un fenomeno che supera i confini nazionali, soprattutto per economie aperte agli stranieri. Non c’è niente di nuovo: non si capisce, quindi, perché la possibile vendita del re delle barrette di cioccolato Cadbury al colosso alimentare statunitense Kraft infiammi tanto gli animi britannici. Certo, potrebbero sparire dei posti di lavoro, ma i posti di lavoro spariscono comunque. Certo, la nuova direzione potrebbe non essere molto bendisposta verso i lavoratori, ma i dirigenti non lo sono quasi mai. Certo, sono stranieri, ma oggi è diventata la norma. Le acquisizioni di aziende britanniche da parte di società straniere sono all’ordine del giorno. Come ha detto una volta l’ex premier Tony Blair al presidente francese, a Downing street l’elettricità è fornita da un’azienda francese. Quindi perché scaldarsi?

Per due ragioni. La prima è che in Gran Bretagna ci saranno presto le elezioni, e la recessione ha già colpito pesantemente le Midlands, dove ha sede la Cadbury. Si spiega così l’intervento contro la Kraft del ministro per le attività produttive Peter Mandelson, che da ex commissario europeo al commercio sa benissimo quanto sia ipocrita protestare.

La seconda ragione, e anche la più interessante, è che i dolci e il cioccolato toccano corde profonde della psiche umana. I sentimenti che suscitano sono spesso intrecciati a ricordi d’infanzia, ricordi di prelibatezze, felicità e sofferte decisioni su come spendere la paghetta. La moderna importanza data ai marchi industriali è deprimente, ma la barretta al cioccolato è una delle sue manifestazioni migliori, perché è un prodotto umile, legato alla quotidianità, perché le persone non lo usano per affermare la loro identità, e perché le differenze tra un prodotto e l’altro sono reali: un Crunchie non è un Mars con una confezione diversa, è proprio un’altra cosa. E i consumatori difenderanno con ardore i meriti dell’una o dell’altra barretta.

Di tutti gli alimenti che mi vengono in mente, il cioccolato è l’unico a essere reso buono dalla lavorazione industriale

Bisogna poi considerare che la Gran Bretagna è, o almeno era, un grande produttore di cioccolato a buon mercato. Il suo unico, vero avversario era la famiglia Mars, che creò l’omonima azienda negli Stati Uniti. Il patriarca, Frank Mars, inventò il Milky Way nel 1923 e suo figlio Forrest lanciò la barretta Mars nel 1932. Frank mandò il figlio in Gran Bretagna ad aprire una filiale. Come mi ha spiegato un dirigente dell’azienda, la fusione dei due rami della società fu ostacolata principalmente dal timore che i consumatori britannici avrebbero trovato il nome di una delle barrette della casa, Snickers – simile a knickers, mutande – troppo ridicolo (infatti in Gran Bretagna lo Snickers un tempo si chiamava Marathon).

Se si escludono i prodotti Mars, tutte le grandi barrette di cioccolato della storia sono britanniche. La prima, nonché la mia preferita, fu il Dairy Milk di Cadbury, lanciato nel 1905. Altre barrette nostrane nacquero in un’esplosione di eroica creatività negli anni venti e trenta: il Flake nel 1920, il Fruit and Nut di Cadbury nel 1928, il Crunchie di Fry nel 1929, l’Aero nel 1935, poi nel 1937 ben tre capolavori: il Rolo, il Kit Kat e gli Smarties. Tutte invenzioni britanniche. Secondo Roald Dahl, “l’equivalente in campo musicale è stata l’epoca d’oro di Bach, Mozart e Beethoven, in pittura sono stati il rinascimento italiano e l’avvento dell’impressionismo alla fine dell’ottocento, in letteratura Tolstoj, Balzac e Dickens”. La cioccolata a buon mercato è una delle cose che il nostro paese sapeva fare davvero bene.

E forse questo si deve al fatto che il cioccolato nasce da un processo di lavorazione industriale. Rientra nella categoria “grandi successi dell’industria britannica” più che in quella, davvero smilza, del “cibo inglese che ha conquistato il mondo”. Di tutti gli alimenti che mi vengono in mente, il cioccolato è l’unico a essere reso buono dalla lavorazione industriale. Il processo che trasforma il seme aspro e quasi immangiabile di una pianta tropicale in qualcosa di dolce e appagante è una specie di miracolo dei tempi moderni. E il sofisticatissimo cioccolato fondente è ancora più moderno: l’ormai popolare cioccolato al 70 per cento di cacao è stato inventato solo nel 1986 dall’azienda francese Valrhona. Se dovesse andare in porto, l’acquisizione della Cadbury sarebbe l’ennesima variante del declino industriale britannico.

Al momento, il successo della manovra della Kraft non è affatto scontato. Come possibili salvatori dell’azienda britannica sono stati fatti altri nomi, tra cui la Hershey, l’azienda statunitense più simile alla Cadbury. In base a una serie di accordi, la Hershey vende già negli Stati Uniti alcuni prodotti con il marchio Cadbury. Il suo cioccolato, però, non ha la stessa composizione e il sapore è molto diverso. La tecnica che permette di usare il latte per produrre delle barrette di cioccolato è complicata, perché i semi di cacao respingono l’acqua e sono difficili da emulsionare (nei suoi primi secoli di uso alimentare, il cioccolato era consumato esclusivamente sotto forma di bevanda). Il latte in polvere fu inventato dallo scienziato svizzero Henri Nestlé e la sua prima miscela con il cioccolato fu sperimentata nel 1875 (ecco perché gli svizzeri sono sempre stati i leader nel mercato snob del cioccolato al latte). Gli statunitensi cominciarono a produrre cioccolato seguendo un metodo un po’ diverso. Oggi, al posto del burro di cacao la Hershey usa un emulsionante chiamato Pgpr. Inoltre mette più zucchero e meno cacao (le loro barrette standard hanno l’11 per cento di cacao, contro il 23 per cento del Dairy Milk della Cadbury). Ma quasi certamente non si azzarderebbe a cambiare la ricetta del basic crumb di casa Cadbury, il composto di cioccolato usato in tutte le loro barrette, e rispetto a Kraft sarebbe probabilmente un padrone meno aggressivo.

Poi c’è l’opzione europea: Ferrero. In Gran Bretagna la sua credibilità è stata minata da una serie di spot televisivi di rara bruttezza, tra cui quello dei Ferrero Rocher, il loro prodotto più noto dalle nostre parti. Il cioccolatino viene offerto durante un ricevimento diplomatico e un’invitata commenta: “Ambasciatore, con questi cioccolatini lei ci vizia”. Lo spot fa pena ma l’azienda, e l’uomo che l’ha fondata, sono di tutto rispetto. Michele Ferrero ha preso la direzione dell’azienda dolciaria di famiglia negli anni cinquanta, trasformandola in un leader del mercato europeo, con un fatturato di 6,2 miliardi di euro. A lui si deve l’invenzione dei Ferrero Rocher, ma anche della Nutella, degli ovetti Kinder e delle Tic Tac. I prodotti Ferrero rivelano una grande comprensione di cosa si prova scartando e mangiando qualcosa di dolce, di quanto sia godurioso rigirarlo tra le mani pregustandone il sapore. L’azienda è profondamente radicata nella città di Alba, in Piemonte, proprio come la Cadbury è radicata a Bournville, nel distretto di Birmingham. Se Cadbury è destinata a non rimanere in mani britanniche, Ferrero potrebbe essere l’alternativa migliore. E chissà, Michele potrebbe anche uscirsene con qualche nuovo capolavoro al cioccolato.

(Traduzione di Francesca Spinelli)

Questo articolo è uscito sul numero 829 di Internazionale. Era stato pubblicato sulla London Review of Books.

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