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Non si può sempre contare sui giudici per decidere sull’immigrazione

Matteo Salvini durante una manifestazione a Roma, il 9 luglio 2020. (Simona Granati, Corbis/Getty Images)

Non ha agito per salvaguardare l’interesse pubblico Matteo Salvini quando ha impedito per venti giorni lo sbarco della nave umanitaria Open Arms nell’agosto del 2019. Lo ha stabilito il senato che, per la seconda volta nel giro di pochi mesi, ha autorizzato un processo contro l’ex ministro dell’interno e leader della Lega accusato di sequestro di persona e di omissione di atti di ufficio.

Il caso Open Arms è solo l’ultimo capitolo di una lunga serie di vicende che ha riportato dentro il parlamento italiano la questione migratoria, amministrata negli ultimi anni dai diversi governi, più con l’obiettivo di raccogliere consensi che con l’intento di trovare soluzioni di lungo periodo, allo stesso tempo rispettose dei princìpi fondamentali imposti dalla costituzione e dalle leggi internazionali.

L’immigrazione sembra un’ossessione per alcuni partiti, come la Lega e Fratelli d’Italia che ne parlano come se fosse l’unico problema del paese, il più urgente, e quando sono al governo se ne occupano con leggi bandiera come i famosi decreti Salvini. Per altri partiti e gruppi politici come il Partito democratico la questione sembra invece intoccabile. E così sul tema si ritarda il più possibile un intervento strutturale, anche quando si è al governo e si potrebbe imprimere una direzione. Il sospetto è che non ci sia una visione, un progetto di lungo periodo, ma che si reagisca di volta in volta, sempre sulla difensiva, alle diverse sollecitazioni che vengono dagli avversari senza un’idea precisa dei propri obiettivi.

La centralità dell’azione giudiziaria
In questo contesto sono i giudici ad avere l’ultima parola, nonostante i tempi lunghi della giustizia. Il paradosso è che arrivino prima i tribunali dei parlamenti. Spesso nella storia della difesa dei diritti delle minoranze c’è una centralità dei tribunali rispetto alla politica, ma non è una buona notizia. Significa che si stanno mettendo in discussione i diritti fondamentali.

Questo è successo per i cosiddetti decreti sicurezza che sono stati già intaccati dall’intervento della consulta, il 9 luglio. Per la corte costituzionale il cosiddetto primo decreto sicurezza viola l’articolo 3 della costituzione, cioè quello che sancisce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. E questo per due motivi: è “irrazionale”, perché non serve a controllare il territorio e a garantire sicurezza, che è la finalità dichiarata dal decreto, e poi “per l’irragionevole disparità di trattamento” dei cittadini, visto che rende più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi anagrafici e legati alla residenza.

Succederà probabilmente lo stesso con le norme, come il decreto sicurezza bis, che negli ultimi anni hanno reso ancora più difficile il soccorso in mare, contravvenendo alle diverse convenzioni internazionali firmate dall’Italia, come la Convenzione di Amburgo del 1979 e la Convenzione Unclos, che stabiliscono l’obbligo di soccorrere e la responsabilità dei diversi stati di cooperare per rendere i soccorsi efficaci e rapidi. Non sappiamo ancora se il processo contro Salvini si svolgerà, dipenderà dalla procura di Palermo nelle cui mani passerà ora il fascicolo dell’indagine, ma se dovesse accadere sarà l’occasione per stabilire se e in che misura i governi possano violare i principi universali, come il primato della salvaguardia della vita in caso di pericolo e il diritto a non essere privati della libertà personale senza l’autorizzazione di un giudice.

In verità anche sul caso Open Arms (come sul caso Diciotti, sul caso Seawatch 3 e altri) la giustizia italiana si è in parte già espressa e ha avuto un ruolo centrale in questo tipo di vicende che hanno avuto come protagonista la politica dei porti chiusi di Matteo Salvini, tanto da far parlare di centralità dell’azione penale rispetto a quella politica. Infatti è stato solo dopo l’intervento del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio che il 20 agosto 2019 la nave umanitaria Open Arms ha avuto l’autorizzazione all’attracco, dopo venti giorni di stallo.

E la politica?
Nel decreto di sequestro preventivo, il pm di Agrigento Patronaggio ricostruiva la vicenda di cui era stata protagonista la Open Arms a partire dal 1 agosto, giorno in cui era avvenuto il primo soccorso nelle acque internazionali al largo della Libia e ricordava quali sono le normative internazionali vigenti sottoscritte dall’Italia. “L’obbligo di salvataggio delle vite in mare costituisce un dovere degli stati e prevale sulle norme e sugli accordi bilaterali, finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”, è scritto nel decreto del pm. Rispettare queste convenzioni internazionali è un obbligo che deriva dall’articolo 117 della costituzione italiana.

Patronaggio ribadiva, inoltre, che secondo la convenzione Unclos è obbligatorio per ogni comandante soccorrere “chiunque trovato in mare in pericolo di vita quanto più velocemente possibile”. La convenzione di Amburgo obbliga inoltre gli stati a collaborare e a garantire che “sia prestata assistenza a ogni persona in pericolo in mare, senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze in cui tale persona viene trovata”. Nel caso Open Arms inoltre c’era già stato l’intervento del Tribunale amministrativo del Lazio (Tar) che il 16 agosto 2019 aveva sospeso il decreto sicurezza bis e aveva autorizzato l’ingresso della nave in acque territoriali italiane.

In questo senso questo caso è più emblematico di altri e sarà interessante seguire il processo per chiarire i diversi punti sollevati dalla magistratura già all’epoca dei fatti. Ma rimane la questione politica: la giustizia ha tempi molto lunghi in Italia, che sembrano tuttavia più rapidi di quelli della politica e del parlamento. Sono ancora in vigore le due norme sull’immigrazione volute da Salvini, che sono state al centro delle sue politiche.

Il 30 luglio, proprio mentre il senato autorizzava il procedimento contro il leader della Lega, la ministra dell’interno Luciana Lamorgese annunciava le tanto discusse modifiche ai decreti sicurezza, che tuttavia non saranno esaminate dal governo prima della fine di settembre, cioè dopo le elezioni regionali. La bozza delle modifiche che sta girando tra giornalisti e politici mostra che a essere modificato sarà soprattutto il primo decreto, che aboliva la protezione umanitaria e distruggeva il sistema di accoglienza diffuso dei richiedenti asilo.

Per quanto riguarda invece la criminalizzazione del soccorso in mare non si toccherà l’impianto della legge, ma ci si limiterà a ridurre le multe previste per chi soccorre in mare. Intanto il paese sembra essere di fronte a una nuova crisi migratoria legata all’aumento degli arrivi dalla Tunisia, causati dalla profonda crisi economica del paese nordafricano aggravata dalla crisi sanitaria per il coronavirus. Ma i centri di accoglienza in Sicilia sono stati chiusi nel corso degli ultimi due anni a causa del primo decreto sicurezza e, dal 2017, è stato smantellato quel complesso ed efficace sistema di soccorsi in mare che vedeva in prima linea guardia costiera e marina militare italiane.

Un meccanismo che, oltre a salvaguardare la vita dei naufraghi, garantiva il controllo dei flussi ed evitava gli sbarchi autonomi dei migranti sulle spiagge italiane. Vengono in mente le parole dell’ex viceministro agli esteri Mario Giro che nel 2017 affermava che l’unico fattore di attrazione per i migranti che arrivano in Italia è la posizione geografica del paese al centro del Mediterraneo, porta d’ingresso in Europa, una realtà con cui la politica sembra non voler fare i conti mettendo in campo una visione di lungo corso, capace di sottrarsi alle speculazioni e alle polemiche del momento.

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