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In Libia serve un governo unico per fermare i jihadisti

Forze speciali tunisine a Ben Guerdane, vicino al confine con la Libia, dopo l’attacco dei jihadisti, il 7 marzo 2016. (Fathi Nasri, Afp)

Un vertice dopo l’altro, l’Italia dopo l’Europa, i profughi e la Turchia, l’8 marzo François Hollande aveva appuntamento a Venezia con il capo del governo italiano Matteo Renzi. Tra la grande indignazione degli ambientalisti dei due paesi, Hollande e Renzi hanno finalizzato il progetto di collegamento ferroviario tra Lione e Torino, ma il vero argomento dell’incontro era il caos in Libia, che preoccupa sempre di più gli europei e gli Stati Uniti.

Dalla morte dell’ex dittatore Muhammar Gheddafi, nell’ottobre 2011, la Libia non ha più un governo unico, ma ne ha due in lotta tra loro. Da una parte c’è quello di Tripoli, dominato dai Fratelli musulmani, movimento islamista ma non jihadista, mentre dall’altra c’è quello di Tobruk, più pluralista e moderato. Due governi significa nessun governo, e questa divisione ha favorito i jihadisti dello Stato islamico (Is), che si è impiantato in Libia e ormai ha il controllo della regione di Sirte, da dove avanza verso la frontiera tunisina e il Sahel.

Grazie all’occupazione di un porto, l’Is può esportare il petrolio sul mercato nero e acquistare armi. Questo ha permesso ai jihadisti di lanciare, il 7 marzo, un attacco contro il sud della Tunisia. Nonostante l’attacco sia stato respinto si tratta comunque di un fatto allarmante, perché questo nuovo santuario jihadista potrebbe presto diventare una base per nuovi attacchi terroristici in Europa, nel Maghreb e in Africa subsahariana.

La Libia è insomma diventata una fonte d’inquietudine estrema, tanto che l’evoluzione della situazione è seguita da vicino dagli occidentali, che hanno inviato in massa agenti dei servizi e uomini delle forze speciali per compiere sopralluoghi e spalleggiare i gruppi libici nemici dello Stato islamico.

Ma questo non significa che gli occidentali si preparino a intervenire nel paese, o quanto meno non nell’immediato.

Gli europei e Washington temono di impantanarsi nel caos libico e di sollevare l’ostilità dell’Algeria

Gli stati maggiori degli eserciti occidentali stanno valutando l’ipotesi di intervento e alcuni piani sono al vaglio. L’esercito statunitense ha appena presentato alla Casa Bianca una trentina di obiettivi che in futuro potrebbero essere bombardati, ma negli Stati Uniti come in Europa la priorità resta il tentativo di costituire un governo comune a partire dai due esistenti, perché uno stato libico riunificato non avrebbe problemi a sbarazzarsi delle poche migliaia di miliziani dell’Is presenti nel paese.

Al momento gli europei e soprattutto Washington non vogliono intervenire in un paese sprofondato nel caos dove potrebbero rapidamente impantanarsi e dove la loro presenza sarebbe mal vista dalla vicina Algeria, incline a preoccuparsi di presunte nostalgie coloniali.

È per questo che gli occidentali giocano la carta della mediazione dell’Onu, il cui emissario Martin Kobler tenta di riavvicinare i due governi della Libia. Il problema è che il negoziato procede a rilento. Il 7 marzo François Hollande e Matteo Renzi hanno chiesto di accelerare questo processo, altrimenti l’intervento militare potrebbe diventare una possibilità sempre più concreta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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