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Gli attacchi israeliani contro i palestinesi nella moschea Al Aqsa

Gerusalemme, 15 aprile 2022. Scontri davanti alla moschea Al Aqsa tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane. (Ammar Awad, Reuters/Contrasto)

Il mese sacro del Ramadan è un momento di digiuno, preghiera e festa per i musulmani di tutto il mondo. A Gerusalemme, nella moschea Al Aqsa, terzo luogo più sacro dell’islam, Ramadan è invece diventato sinonimo di attacchi ai fedeli mentre vanno in moschea o pregano al suo interno. Al Aqsa si trova nella Spianata delle moschee, chiamata Monte del tempio dagli ebrei e Al Haram al sharif (che significa il nobile santuario) dagli arabi: è una vasta area che si trova accanto al Muro del pianto, il luogo più sacro per l’ebraismo.

L’attacco di martedì 19 aprile da parte delle forze israeliane contro i fedeli musulmani che erano andati a rompere il digiuno sulla Spianata è il quarto dall’inizio del Ramadan, il 2 aprile.

Gli assalti sono documentati da centinaia di video caricati sui social network, che mostrano immagini di anziani malmenati, donne e giornalisti picchiati dalla polizia israeliana. I palestinesi che pubblicano queste immagini di violenza chiedono di rivedere il modo in cui viene raccontato il conflitto tra palestinesi e israeliani.

“Le forze israeliane fanno irruzione nella moschea Al Aqsa e feriscono decine di persone. Hanno sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro i fedeli in un raid prima dell’alba. È come un meccanismo a orologeria: i palestinesi sono presi di mira a ogni Ramadan”, scrive su Twitter un professore di diritto:

Lo smartphone è diventato la nuova arma dei palestinesi sulla Spianata: le donne che vanno a pregare tengono i telefoni accesi in mano sia come forma di protezione sia per documentare le violenze.

La Spianata che accoglie la moschea, costruita durante la dinastia omayyade, è stata annessa dallo stato israeliano, insieme al centro storico e a Gerusalemme Est, con la guerra del 1967. L’annessione è tuttora considerata illegale dalla comunità internazionale.

Un accordo tra Giordania e Israele prevede che i musulmani preghino all’interno della moschea e gli ebrei sul Muro occidentale. Le autorità israeliane controllano i dintorni della moschea, mentre il luogo di culto è gestito da una fondazione islamica giordano-palestinese, il Jerusalem Islamic Waqf.

È stato proprio il Waqf ad annunciare in un comunicato che il 19 aprile 622 coloni hanno preso d’assalto la moschea durante un raid durato dalle 7 alle 10.30 del mattino. Alcuni testimoni hanno raccontato che i coloni avevano compiuto delle passeggiate provocatorie sulla Spianata e rituali talmudici nei cortili della moschea sotto la protezione della polizia israeliana, che ha sparato bombe lacrimogene contro i fedeli. Secondo la Mezzaluna rossa, 59 palestinesi sono stati feriti durante l’attacco.

Questo tipo di incursioni organizzate da parte gruppi di sionisti religiosi è diventato sempre più frequente, come documentato da uno studio realizzato da Middle East Eye.

Fin dall’inizio degli anni ottanta, piccoli gruppi di ebrei estremisti vogliono ricostruire l’antico tempio di Gerusalemme, fatto erigere dal re Salomone, al posto della moschea Al Aqsa. Oggi, a causa della forte ascesa dell’estremismo ebraico che si nutre di un’ideologia sionista religiosa, organizzazioni come The Temple Institute e il Temple Mount and Eretz Yisrael Faithful Movement intendono impadronirsi del luogo per distruggere la moschea e costruirci il “terzo tempio”, senza curarsi di cancellare un patrimonio che è sia musulmano sia cristiano.

Gli stessi gruppi estremisti israeliani – che definiscono le incursioni come un‘“ascensione al Monte del Tempio” – quest’anno avevano invitato sui social network a fare sacrifici animali all’interno della moschea in occasione della Pasqua ebraica, cosa che è stata vietata dalla polizia israeliana.

L’anno scorso i raid di questi gruppi estremisti e lo sgombero delle famiglie del quartiere palestinese di Sheik Jarrah a Gerusalemme Est avevano portato a un aumento delle tensioni che erano degenerate in undici giorni di guerra nella Striscia di Gaza durante i quali sono stati uccisi 232 palestinesi e 12 israeliani. Se quest’anno per il momento è ancora possibile evitare un’escalation secondo Al Quds, bisogna cambiare il modo di raccontare questi assalti. Non ci sono “scontri” a Gerusalemme, bensì attacchi contro civili.

Come sottolinea Sheikh Azzam al Khatib, direttore del Waqf, “è importante che il popolo israeliano sappia che i partiti ebrei di estrema destra stanno conducendo una guerra religiosa contro i musulmani in questo paese”.

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