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Tre presidenti in prigione per corruzione

Una manifestazione contro l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva condannato a 12 anni di prigione per corruzione. Curitiba, stato di Paraná, il 7 aprile 2018. (Mauro Pimentel, Afp)

Ancora oggi i presidenti e i primi ministri che scatenano una guerra non finiscono in prigione, ma nei paesi democratici comincia a essere normale vederceli finire per corruzione. Nell’ultima settimana è successo a tre di loro.

Il 6 aprile, in Corea del Sud, l’ex presidente Park Geun-hye è stata condannata a 24 anni di carcere e a pagare una multa di 14 milioni di euro per corruzione, estorsione, abuso di potere e altri reati.

Il 7 aprile l’ex presidente sudafricano Jacob Zuma si è presentato al tribunale di Durban per difendersi dall’accusa di corruzione relativa a una vicenda di compravendita di armi. Il suo stesso partito lo aveva costretto a dimettersi un anno prima che scadesse il suo mandato. Considerando che il suo consulente finanziario ha già scontato una condanna in carcere per le stesse accuse, è difficile che Zuma possa andare in pensione tranquillo.

L’8 aprile, infine, l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, anche conosciuto come Lula, ha cominciato a scontare una condanna a 12 anni di prigione per corruzione. Probabilmente Lula non ha commesso alcun reato che possa giustificare la pena a cui è stato condannato.

Oltre ai tre ex presidenti incarcerati o che rischiano il carcere, ce ne sono altri in fila, come l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, accusato di aver ricevuto un finanziamento dal dittatore libico Muhammar Gheddafi per la campagna elettorale delle elezioni presidenziali del 2007.

Storie diverse
Guidare un paese è chiaramente un compito rischioso e le persone che ottengono questa carica tendono a essere amanti del rischio. Non tutti sono ricchi e spesso sono esposti a molte tentazioni. Ciononostante, non tutti i casi di corruzione nascono dal desiderio di arricchirsi.

Come quello di Park in Corea del Sud. L’ex presidente ha effettivamente incassato almeno 28 milioni di euro di tangenti da grandi aziende coreane, tra cui Samsung e il colosso della vendita al dettaglio Lotte. Ma ha agito spinta dalla sua confidente Choi Soon-sil, figlia di un predicatore di una setta che ha ottenuto la fiducia del padre di Park più di quarant’anni fa.

Il padre di Park aveva governato la Corea del Sud come dittatore militare negli anni settanta. Poi era stato assassinato insieme alla moglie, e la giovane orfana ha stretto amicizia con la figlia del predicatore, che ha cominciato a controllarla.

Il Brasile è stato travolto da un gigantesco caso di corruzione, con metà dei parlamentari coinvolti

Nel 2013 Park Geun-hye è stata eletta presidente, ma l’influenza di Choi Soon-sil non è diminuita. Le tangenti incassate da Park durante il suo mandato sono state usate quasi esclusivamente per finanziare fondazioni controllate da Choi. Le due donne sono state entrambe condannate alla galera e sicuramente meritano la pena, ma Park è più una vittima che una colpevole.

Quella di Zuma è una storia più semplice. L’ex presidente è stato un esponente di spicco dell’African national congress (Anc) durante la lotta contro l’apartheid, prima dal carcere di Robben Island e poi in esilio come leader dell’intelligence militare dell’Anc. Il suo ex capo dello staff lo ha definito “un genio militare”.

Zuma non aveva denaro, e quando ha ottenuto il potere politico nel Sudafrica post-apartheid ha cercato di rimediare al problema. Non ci sono mai stati dubbi sul fatto che abbia guadagnato enormi somme dal contratto per la vendita di armi. Zuma è stato costretto a dimettersi dalla vicepresidenza nel 2005, ma dopo essere stato eletto leader dell’Anc nel 2007 è riuscito a far cadere le accuse.

Nel 2009 infine è stato eletto presidente del Sudafrica. Per i successivi nove anni le accuse sono state sospese. Quando due mesi fa è stato costretto a dimettersi a causa di ulteriori reati di corruzione – e per la cattiva amministrazione del paese – le accuse sono tornate a galla. Ora Zuma è nei guai. Finalmente, diranno in molti.

E Lula? Probabilmente nel suo caso non è stato commesso alcun reato. Il Brasile è stato travolto da un gigantesco scandalo di corruzione, con più di metà dei parlamentari coinvolti. Ma fino a quando questi parlamentari controlleranno il parlamento e la presidenza, probabilmente sono al sicuro. A ottobre è in programma un’elezione che Lula potrebbe tranquillamente vincere, se non fosse in prigione.

Il reato di cui è accusato è abbastanza insignificante per gli standard brasiliani: avrebbe accettato in regalo l’appartamento in cui sua moglie si è trasferita per le vacanze sulla costa di Guarujá. L’ex presidente non ricopriva più alcuna carica e dunque non avrebbe potuto offrire alcun favore in cambio della prestazione gratuita. Anche nel peggiore dei casi, la scelta di accettare la ristrutturazione è stata ingenua.

Lula vive ancora a São Bernardo do Campo, a venti chilometri da São Paulo, in una casa modesta a breve distanza dalla sede del sindacato dei metalmeccanici dove l’ho intervistato per la prima volta, quasi quarant’anni fa. Gli resta la possibilità di fare appello, ma difficilmente verrà rimesso in libertà. Il vero motivo per cui si trova in prigione è che non vogliono farlo partecipare alle elezioni presidenziali, dunque resterà dietro le sbarre. Lo stato di diritto è una cosa meravigliosa, ma nessun sistema creato dagli esseri umani è impermeabile alla manipolazione da parte di altri esseri umani.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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