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Hong Kong non si arrende

Una protesta a Hong Kong, 6 settembre 2020. (Miguel Candela Poblacion, Anadolu Agency via Getty Images)

I muri delle strade di Hong Kong sono coperti da grandi quadrati di vernice grigia, che cercano di cancellare i graffiti che erano stati scritti lo scorso anno: “Liberare Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi”, per esempio, il motto dei manifestanti, è stato dichiarato illegale, e quando qualcuno lo scrive sui muri, ecco che le squadre della pulizia urbana si occupano di cancellarli con la vernice. La traccia resta molto visibile: fino a due anni fa, Hong Kong era una città quasi senza graffiti. Poi, con la rivolta dello scorso anno, i graffiti erano dappertutto, man mano che il governo rifiutava di ascoltare le richieste dei manifestanti, ecco che i muri stessi se ne facevano portavoce. Poi sono arrivate le pennellate di vernice grigia.

Fino a qualche mese fa, inoltre, all’interno dei partiti pro democrazia si stavano facendo calcoli complicati per cercare di capire quale strategia avrebbe aiutato a ottenere la maggioranza nel parlamento locale. Si chiama consiglio legislativo, ed è eletto al 50 per cento tramite suffragio universale e al 50 per cento tramite voto corporativo. Quindi, per esempio, i capi di un’azienda hanno un voto in quanto cittadini e un voto in più per ogni azienda che gestiscono. Certi miliardari locali arrivano ad avere diverse decine di voti. Gli altri, ne hanno uno solo. Ma ugualmente, dopo il successo inaspettato delle elezioni di distretto del novembre 2019 (interamente eletti per suffragio universale, per quanto i distretti siano poco più che delle municipalità che si occupano di amministrazione pratica dei quartieri: su 18 distretti, 17 sono stati vinti dai canditati pro democrazia), una strategia sembrava possibile: così, in luglio, per la prima volta sono state fatte delle primarie.

Sparizioni
L’idea era di andare alle elezioni con candidati preselezionati dagli elettori e sperare di conquistare la maggioranza in parlamento, malgrado i paletti posti dalla legge elettorale. Poi, invece, così come gli slogan, le elezioni sono state cancellate, dopo una serie di violenti colpi alle ambizioni democratiche di Hong Kong. Pechino aveva annunciato di voler imporre a Hong Kong una legge contro la sovversione, la sedizione, il terrorismo e la collusione con forze estere – chiamata Legge sulla sicurezza nazionale – e di voler scrivere e approvare la legge interamente a Pechino, senza nemmeno farla vedere al governo locale (messo al potere da Pechino stessa), tantomeno al parlamento. La legge è entrata in vigore qualche ora prima di essere resa pubblica, come se il governo centrale avesse voluto dare un’ulteriore prova di forza, unendola a uno sberleffo. Il mese dopo, la candidatura di 12 dei militanti per la democrazia è stata respinta. E poco dopo le elezioni stesse sono state rimandate: per non mettere in pericolo le regole del distanziamento sociale, ha detto Carrie Lam, la guida dell’esecutivo di Hong Kong. Per non rischiare di perdere le elezioni, hanno mormorato tutti fra i denti. Hong Kong, infatti, per quanto riguarda la pandemia, non è certo fra i luoghi più gravemente colpiti: meno di cinquemila casi in tutto, dall’inizio dell’anno.

Ma la legge sulla sicurezza nazionale ha portato con sé molte altre improvvise cancellature: spariscono i libri dagli scaffali delle librerie scolastiche e da quelli delle librerie che temono di essere chiuse a forza. Spariscono le persone, arrestate all’alba per crimini legati alla sicurezza nazionale o alle manifestazioni dello scorso anno. Altre fuggono da Hong Kong di notte su piccole imbarcazioni: per decenni, erano stati i cinesi della Cina continentale a scappare verso Hong Kong, per sfuggire alle politiche opprimenti di Pechino. Adesso, Hong Kong non è più il porto sicuro che era per chi ha idee politiche invise al governo, e alcuni preferiscono le infinite incertezze della fuga.

Mentre le misure di prevenzione sanitaria continuano a essere in vigore, è impossibile per il movimento per la democrazia di Hong Kong fare molto. Tranne quando è troppo. Così, domenica 6 settembre, il giorno delle elezioni cancellate, c’è stato un tentativo di manifestare, come al solito finito con centinaia di arresti e litri di spray al peperoncino. Una ragazzina di 12 anni è stata arrestata perché è scappata davanti alla polizia, e ha una costola rotta (gli arresti alle manifestazioni sono ormai sempre più violenti). Un autista d’autobus, che ha suonato il clacson in favore dei manifestanti, è stato arrestato per il possesso di un cacciavite a stella tra gli attrezzi. E non è l’esempio più assurdo: dall’anno scorso, a Hong Kong è proibito mettere una maschera che copra il viso. Ma da febbraio, per prevenzione contro il covid-19, è obbligatorio portare la mascherina. Quindi, a Hong Kong, è contemporaneamente proibito e obbligatorio coprirsi il volto.

C’è un’aria di attesa. Quando le misure di sicurezza saranno tolte, cosa succederà?

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