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In fuga uno degli attentatori di Bruxelles

Tre attentatori sono stati identificati. Ibrahim el Bakraoui e Najim Laachraoui si sono fatti esplodere all’aeroporto di Zaventem. Khalid el Bakraoui, fratello di Ibrahim, si è fatto esplodere nella stazione della metropolitana Maelbeek. Un quarto terrorista presente all’aeroporto di Bruxelles, non ancora identificato, è in fuga. Negli attentati del 22 marzo sono morte 31 persone, i feriti sono 270.

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Dietro gli attentati di Bruxelles c’è una rete locale di terroristi

I soccorsi ai feriti davanti alla stazione della metropolitana di Maalbeek, a Bruxelles, il 22 marzo 2016. (Afp)

È stata una vendetta? La prova dell’esistenza di una nuova cellula terroristica e dell’incompetenza dei servizi di sicurezza belgi? Un segno che la rete di Salah Abdeslam, responsabile logistico degli attentati a Parigi dello scorso anno e arrestato a Bruxelles venerdì 18 marzo, è ancora attiva? Oppure, data la scarsità di dettagli sugli eventi di questa mattina, nessuna di queste ipotesi è plausibile?

Gli attentati di Bruxelles evidenziano alcuni punti fondamentali.

Il primo è che, come è ovvio, la minaccia jihadista in Europa può diminuire o crescere, ma non scompare solo perché un singolo esponente è stato arrestato, per quanto attesa fosse la sua cattura. “L’importante colpo” inferto venerdì, come lo hanno definito vari politici di spicco, adesso appare meno importante.

Il secondo punto è che sia i terroristi sia quelli che tentano di fermarli cercano di mantenere l’iniziativa. La cosa ha degli aspetti pratici e psicologici. Le agenzie di controterrorismo cercano di ottenere informazioni abbastanza velocemente da poter organizzare dei blitz e neutralizzare i sospetti prima che abbiano il tempo di capire chi di loro è stato catturato e chi potrebbe aver parlato, e ovviamente anche prima che possano pianificare un nuovo attacco. Le reti terroristiche si disgregano facilmente se sottoposte a una simile pressione costante, come è stato mostrato in Iraq a metà del decennio scorso.

Per i terroristi, l’obiettivo è mostrare di essere ancora in grado di terrorizzare, agire rapidamente e radicalizzare lo scontro grazie alla violenza. Non si tratta tanto di vendetta, ma più semplicemente di dimostrare che la loro capacità di colpire è intatta. Come se volessero dire: siamo stati colpiti, ma ci siamo ancora.

Una rete organizzata

Il ministro degli esteri belga, Didier Reynders, ha dichiarato domenica che Abdeslam ha detto agli inquirenti che stava pianificando un nuovo attacco nella capitale: “Era pronto a organizzare qualcosa di nuovo a Bruxelles, e potrebbe essere vero poiché abbiamo trovato moltissime armi, armi pesanti, nelle prime indagini, e abbiamo anche scoperto una nuova rete intorno a lui a Bruxelles”, ha spiegato Reynders.

Questa rete potrebbe essere riuscita ad agire prima di venire smantellata dai servizi di sicurezza. È possibile che includesse due altri uomini sospettati di aver avuto un ruolo centrale negli attentati di Parigi e che sono in fuga da novembre.

Mohamed Abrini, 31 anni, un belga di origini marocchine, è scomparso dopo aver avuto un ruolo apparentemente fondamentale nella pianificazione e nella logistica degli attentati di novembre. È un amico d’infanzia di Abdeslam – le loro famiglie erano vicine di casa nel quartiere di Molenbeek, a Bruxelles, da dove provenivano molti degli attentatori di Parigi – e nel suo mandato d’arresto internazionale di quattro mesi fa era descritto come “pericoloso e probabilmente armato”.

La polizia sta anche cercando un sospetto noto solo con lo pseudonimo di Soufiane Kayal. L’uomo ha presentato documenti falsi con quel nome quando è stato controllato alla frontiera tra Austria e Ungheria il 9 settembre. Stava viaggiando con Abdeslam e Mohamed Belkaïd, un algerino di 35 anni ucciso il 15 marzo durante il blitz della polizia a Bruxelles. I tre uomini si erano finti turisti diretti a Vienna per vacanza e non avevano sollevato sospetti.

Questa è la realtà dell’estremismo islamico contemporaneo in Europa. Non si tratta di cani sciolti

Ma la rete include sicuramente molti altri. È chiaro dal tempo trascorso in fuga da Abdeslam che l’uomo ha ricevuto il sostegno di decine di persone, se non di più. Questa è la realtà dell’estremismo islamico contemporaneo in Europa. Non si tratta di cani sciolti o di attori solitari bensì di un piccolo ma significativo numero di persone inserite in comunità o quartieri più ampi.

Queste persone condividono le opinioni estremiste degli attentatori o, quantomeno, sono pronti ad aiutarli per amicizia, vincoli familiari o entrambe le cose. Alcuni studi hanno mostrato che moltissimi attentatori accennano ai loro piani con le persone appartenenti ai loro circoli sociali ristretti.

Alcune di loro si rivolgono alla polizia. Secondo la stampa francese, sarebbe stata una soffiata giunta dall’interno della comunità ad aver condotto le forze di sicurezza ad Abdeslam la scorsa settimana. Altre invece scelgono di tacere.

Uno dei problemi dei servizi di sicurezza è che gli individui che hanno aiutato gli attentatori senza commettere personalmente azioni violente possono trasformarsi, facilmente e velocemente, in kamikaze o terroristi in alcune circostanze, come l’arresto di una personalità importante della rete o della famiglia o nel caso di ordini provenienti da dirigenti più importanti, magari dall’estero.

Nonostante la visione globale degli ideologi estremisti e la dimensione internazionale attribuita a gruppi come lo Stato islamico o Al Qaeda, questo terrorismo è soprattutto locale.

Negli ultimi decenni, quasi tutti gli attentati in Europa sono stati compiuti da persone del posto che hanno attaccato obiettivi locali con materiali e armi ottenuti localmente. È probabile che sia andata così anche nel caso degli attentati di Bruxelles.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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