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Il racconto della guerra in Ucraina rivela il razzismo occidentale

Medyka, Polonia, 28 febbraio 2022. Una famiglia afgana al confine con l’Ucraina. (Bryan Woolston, Reuters/Contrasto)

Il conflitto in corso in Ucraina tra popolazioni slave russe e ucraine, queste ultime appoggiate da una coalizione tribale di nazioni nell’Europa subscandinava, non ha messo in evidenza soltanto la fragilità della pace nel subcontinente devastato dalla pandemia. Ha svelato anche una squallida sfumatura di eccezionalismo razzista con cui molte persone europee e di discendenza europea tendono a guardare a se stesse.

È stato impossibile non accorgersi dello shock, all’idea che tutto questo potesse succedere in Europa, mostrato dai giornalisti caucasici che stanno raccontando la guerra scatenata dall’invasione della Russia con il pretesto di sostenere gli alleati etnici nelle enclave tribali di Donetsk e Luhansk, riconosciute come repubbliche indipendenti.

“Sono così simili a noi. Ecco perché è così scioccante… La guerra non è più qualcosa che colpisce popoli poveri e lontani. Può accadere a chiunque”, ha scritto Daniel Hannan sul Telegraph, nel Regno Unito. “Pensate, siamo nel ventunesimo secolo, siamo in una città europea, e si lanciano missili come se fossimo in Iraq o in Afghanistan”, si lamentava un commentatore alla tv francese.

Inviato a Kiev, nella capitale ucraina, il corrispondente della rete statunitense Cbs Charlie D’Agata ha dichiarato che l’Ucraina “non è, con il dovuto rispetto, un posto come l’Iraq o l’Afghanistan, in guerra da decenni… Questa è una città relativamente civilizzata, relativamente europea – devo stare attento alle parole che uso – dove non ti aspetteresti né spereresti mai che possa accadere qualcosa di simile”. In seguito si è scusato.

Un ritratto impietoso
Queste reazioni scandalizzate naturalmente con sono una novità. Raccontando gli eventi accaduti negli Stati Uniti durante l’amministrazione Trump, soprattutto in occasione delle elezioni del 2020, i giornalisti esclamavano con regolarità che quel caos era una cosa da “terzo mondo”, che non ci si sarebbe potuti aspettare negli Stati Uniti. “Adesso l’America è un paese del terzo mondo”, recitava un titolo della rivista Fortune raccontando il primo sgangherato dibattito presidenziale tra Donald Trump e Joe Biden, destinato a succedergli.

Il pensiero torna a Chinua Achebe che, recensendo nel 1975 il romanzo di Joseph Conrad Cuore di tenebra, osservava come “per ragioni che sarebbe sicuramente utile indagare dal punto di vista psicologico, l’occidente sembra nutrire profonde preoccupazioni riguardo la precarietà della sua civiltà” e aver bisogno di essere rassicurato di continuo dal paragone con l’Africa. All’Africa possiamo aggiungere l’Iraq, l’Afghanistan e gran parte del sud globale.

In sostanza, i giornalisti cercano di ribadire l’eccezionalismo e la virtù dell’Europa bianca esternalizzando i mali di quest’ultima verso il mondo “in via di sviluppo”. Ciò che Achebe scriveva dell’Africa può essere esteso a gran parte del mondo non bianco, che “è per l’Europa quello che il ritratto è per Dorian Gray, ossia un contenitore in cui il padrone scarica le sue deformità fisiche e morali così che lui possa andare avanti, dritto e immacolato”.

Paradossalmente, le deformità morali dell’Europa sono sotto gli occhi di tutti fin dall’inizio dell’invasione russa, essa stessa profondamente immorale e ingiusta. Il trattamento che, stando a quanto riportato, le guardie di frontiera ucraine hanno riservato agli africani, agli indiani e ad altre persone di colore che cercavano di lasciare il paese resterà una macchia indelebile sulla resistenza per altri versi eroica del paese contro l’aggressione.

Il caldo benvenuto accordato ai profughi ucraini dai vicini dell’Unione europea è in netto contrasto con l’ostilità sperimentata da persone diverse dal punto di vista razziale, giunti da altri paesi sulla soglia dell’Europa. E gli europei non hanno certo fatto mistero dei motivi di questa discrepanza.

I giornalisti non si rendono nemmeno conto del paradosso delle potenze europee che, mentre accolgono i profughi creati dall’invasione russa, respingono quelli creati dalle sue invasioni

Il primo ministro bulgaro Kiril Petkov ha dichiarato: “Questi non sono i profughi che eravamo soliti vedere. Queste persone sono europee, perciò noi, insieme a tutti gli altri paesi dell’Ue, siamo pronti ad accoglierli. Queste sono… persone intelligenti, istruite… perciò nessuno dei paesi europei teme l’ondata di immigrati che sta per arrivare”.

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha dichiarato poi che “accetteremo chiunque ne abbia bisogno. La società ucraina è sempre più impaurita e preoccupata. Siamo pronti ad accettare decine, centina di migliaia di profughi ucraini”. Tutto questo mentre il suo paese continua a negare l’ingresso a migranti e richiedenti asilo, in gran parte iracheni, afgani e siriani, lungo il confine con la Bielorussia.

Nel Regno Unito, che ha valutato la possibilità di respingere i profughi non bianchi verso il Canale della Manica, il primo ministro Boris Johnson pare abbia detto che gli ucraini potranno entrare senza necessità di visto se hanno già dei parenti nel paese.

Vale la pena notare che quando i giornalisti, sconvolti nel vedere il continente puro immergersi in un fango che ritenevano essere riservato unicamente al resto dell’umanità, si degnano di accennare alle posizioni contraddittorie sui richiedenti asilo, lo fanno solo incidentalmente. Sembra che la parola “razzismo” venga attentamente evitata.

A quanto pare non si rendono nemmeno conto del paradosso rappresentato dalle potenze europee che, mentre accolgono i profughi creati dall’invasione russa, respingono quelli creati dalle sue invasioni e occupazioni. Così come il fatto che mentre la Russia viene condannata, come è giusto che sia, per aver invaso il paese di qualcun altro, i paesi che più fanno sentire la loro voce sulle leggi internazionali o sulla Carta e sulle risoluzioni delle Nazioni Unite ignorano tranquillamente il fatto che l’Israele dell’apartheid sta facendo esattamente la stessa cosa con i palestinesi. In quel caso niente richiesta di sanzioni o isolamento. Niente celebrazioni del coraggio del popolo di Gaza e dei territori occupati in Cisgiordania che difende la sua libertà contro un brutale occupante.

Ma d’altronde Israele non ha invaso un paese bianco europeo e noi sappiamo che secondo loro alcuni comportamenti sono accettabili e devono essere messi in conto se diretti verso persone in altri continenti.

Di fatto nei confronti del nord si ha la stessa reazione del comico John Oliver quando ha saputo che anche l’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush, responsabile della disastrosa invasione dell’Iraq nel 2003, stava condannando Putin. “Aspetta un momento, George. Tu proprio no”, ha detto nella sua trasmissione Last week tonight. “Non sei la persona adatta a farlo, perché questa dichiarazione avrebbe avuto senso solo se alla fine avessi detto ‘Oh m***, adesso capisco. Mi dispiace, adesso chiudo la mia c*** di bocca”.

Piuttosto che chiudere la bocca, forse sarebbe stato meglio se avessero mostrato un minimo di consapevolezza e coerenza.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Al Jazeera.

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