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La geopolitica dell’intelligenza artificiale

Science photo library/Luzphoto

Vladimir Putin ha almeno una qualità, parla senza peli sulla lingua. La settimana scorsa ha detto chiaro e tondo quello che la maggior parte del mondo mormora sottovoce: “Il paese che sarà leader nel campo dell’intelligenza artificiale, dominerà il mondo”.

Di solito l’intelligenza artificiale (Ia) è evocata nell’ambito di cambiamenti positivi, per esempio nella sanità o nella regolazione del traffico, o negativi, come il suo impatto sull’occupazione o la possibilità che l’Ia sviluppi un giorno una “coscienza” capace di imporsi sui suoi creatori, gli esseri umani.

Ma è raro che se ne parli in termini geopolitici come ha fatto in modo così diretto il presidente russo. La cosa più strana è il contesto di questa dichiarazione: non una grande conferenza strategica come quella di Monaco – dove nel 2007 Putin aveva denunciato “l’unilateralismo americano” – ma una teleconferenza seguita da più di un milione di studenti russi in occasione dell’inizio dell’anno scolastico!

Dopo questa dichiarazione Elon Musk, il padrone di Tesla e di SpaceX, ha subito postato un tweet: “Si comincia…”.

E ha continuato affermando che “la competizione per la superiorità nazionale in materia di Ia sarà la causa più probabile della terza guerra mondiale”.

Se fosse necessario aggiungere altro, possiamo fare riferimento a quello che ha detto Yuval Noah Harari, storico israeliano e autore di successo, che si trovava a Parigi per il lancio dell’edizione francese del suo nuovo libro Homo Deus. Una breve storia del futuro.

Harari dice che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale e delle biotecnologie rischiano di produrre un livello di “superuomini aumentati” che domineranno il mondo e di trasformare il resto dell’umanità in una “classe inutile”. Una dimostrazione sostenuta da molti esempi tratti dai progressi tecnologici e dai cambiamenti che implicano.

La nuova religione
Durante una presentazione del suo libro davanti a un folto gruppo di invitati, tra cui la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager che ha sfidato i Gafa (Google-Amazon-Facebook-Apple), Harari ha predetto che questi progressi scientifici produrranno delle disuguaglianze senza precedenti nella storia dell’umanità, tanto all’interno delle società quanto tra gli stati. Il divario tra chi controllerà queste tecnologie e chi non vi avrà accesso non sarà solo maggiore di quello che ha caratterizzato i paesi industriali e gli altri nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, ma soprattutto non potrà essere colmato.

Secondo Harari, la materia prima del futuro saranno i dati, i nostri dati personali raccolti da chi ne ha la capacità. I padroni di questi dati saranno i grandi sacerdoti della nuova religione, il “dataismo”.

Le idee di questo autore, che ha avuto un successo mondiale con il suo libro precedente Sapiens, hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e il presidente francese Emmanuel Macron ha voluto incontrarlo.

La dichiarazione di Putin sull’intelligenza artificiale ha avuto almeno il merito di rendere comprensibile il dibattito anche al grande pubblico: il capo del Cremlino ragiona in termini di dominazione e di sottomissione, sia sull’Ia sia sul resto.

L’Ia quindi non è solo un obiettivo di grande interesse economico che prende la forma (non così insignificante) di Alexa, l’assistente digitale di Amazon che risponde a tutte le vostre esigenze domestiche e che fa anche ripassare le tabelline delle moltiplicazioni ai vostri figli. Può anche essere uno strumento di dominio.

Non è un caso infatti se i maggiori investimenti in intelligenza artificiale sono quelli dei due grandi giganti del ventunesimo secolo, gli Stati Uniti e la Cina, con un probabile vantaggio dei cinesi in termini di fondi investiti.

Esigenze militari
Tutti conoscono Google, Microsoft e Amazon, le enormi aziende statunitensi alle quali tutti ricorriamo quotidianamente; alcuni conoscono Alibaba, il gigante del commercio elettronico cinese fondato dal molto mediatico Jack Ma; ma pochi europei conoscono Baidu o Tencent, due aziende cinesi altrettanto importanti delle loro controparti americane, che investono massicciamente nell’intelligenza artificiale.

Senza contare poi i centri di ricerca legati ai sistemi di difesa, che nei principali paesi del mondo sono oggi molto apprezzati, e valorizzati. Israele per esempio, al di là della start-up nation che ha prodotto l’applicazione di navigazione Waze e altri prodotti per il grande pubblico, ha creato un ecosistema di ricerca che parte prima di tutto dalle sue esigenze militari.

In un editoriale sul sito della Cnn il ricercatore americano Gregory C. Allen, autore di uno studio sull’”intelligenza artificiale e il problema della sicurezza nazionale”, afferma che se si esclude il settore delle armi oggi la Russia di Putin non è all’avanguardia nella ricerca sull’Ia:

Nonostante le grandi ambizioni di Putin il tentativo russo di predominare nell’intelligenza artificiale non si realizzerà attraverso le innovazioni tecnologiche. Gli Stati Uniti e la Cina hanno industrie digitali molto più importanti, più sofisticate e con un ritmo di crescita molto più forte di quelle russe. In compenso la Russia potrebbe ben presto diventare leader nella militarizzazione dell’Ia per raggiungere il suo obiettivo strategico, che è quello di mettere fine all’egemonia americana nel sistema internazionale e di ristabilire l’influenza russa nella vecchia sfera sovietica. La Russia non è mai stata leader nelle tecnologie legate a internet, tuttavia ha sviluppato un gruppo importante di hackers capace di mettere in crisi gran parte della rete elettrica ucraina, di infiltrarsi negli impianti nucleari statunitensi, e di seminare il panico nelle elezioni americane del 2016.

Si può ancora impedire questa militarizzazione dell’Ia e questa corsa nazionale al suo dominio che ha tanto allarmato Musk? Difficile che possa succedere nell’attuale clima internazionale di nuova guerra fredda, che ha spazzato gli scrupoli etici come era successo mezzo secolo fa con la rivalità est-ovest.

In tutto ciò l’Europa è drammaticamente assente o molto in ritardo, sia nella battaglia sui dati condotta da imprese che sono raramente europee, sia nel perseguimento di questo obiettivo strategico sempre più importante. Forse per una volta bisognerebbe prendere Putin alla lettera e rendersi conto che si tratta veramente di un obiettivo di vitale importanza.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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