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Le manovre militari di Russia e Cina sono un segnale preoccupante

Il presidente russo Vladimir Putin al forum economico orientale di Vladivostok, l’11 settembre 2018. (Vladimir Smirnov, Tass/Reuters/Contrasto)

Se ci fosse bisogno di un simbolo delle nuove divisioni nel mondo, le manovre militari note come “Vostok 2018”, sarebbero un’ottima scelta. In corso da martedì in Siberia e nell’estremo oriente russo, sono le più grandi dalla fine della guerra fredda, con 300mila uomini, migliaia di aerei e carri armati. Ma soprattutto, per la prima volta, prevedono la partecipazione di truppe arrivate dalla Cina, il grande vicino prima alleato, poi nemico e poi di nuovo partner privilegiato di Mosca in un mondo in continuo cambiamento.

Uno dei due paesi è vittima di una guerra commerciale scatenata da Washington, l’altro subisce le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Europa. Tutto, insomma, spinge la Cina e la Russia l’una tra le braccia dell’altra.

Le esercitazioni militari in Siberia durante Vostok 2018, l’11 settembre 2018.

Martedì scorso il presidente russo Vladimir Putin e il numero uno cinese Xi Jinping si sono incontrati a Vladivostok per celebrare la loro intesa – mentre le loro truppe giocavano a fare la guerra – e per dimostrare che, ben lontani dall’essere ai margini dello scacchiere, incarnano un’alleanza di primo piano in un mondo che si sta rapidamente ridefinendo.

Una storia complicata
La Cina e la Russia non sono alleati naturali, soprattutto in una regione che è appartenuta a Pechino fino alla metà del diciannovesimo secolo. Mosca si è sempre chiesta se la Cina, ritornata forte, avesse in programma di rivendicarla.

Gli intrecci della storia complicano un po’ la situazione. Nel 1949, dopo la sua vittoria, Mao Zedong aveva preso il treno (odiava l’aereo) per Mosca, che all’epoca era la Mecca del comunismo mondiale, ammettendo il suo amore per Stalin e dichiarando che “l’Urss di oggi è la Cina di domani”.

Ma l’intesa non è sopravvissuta a lungo dopo la scomparsa del “piccolo padre dei popoli”. Nel 1960 c’è stata la rottura ed è nata la rivalità tra i due poli del comunismo mondiale, con addirittura un breve conflitto armato di confine sul fiume Amur.

È stato necessario aspettare l’arrivo di Vladimir Putin alla guida della Russia perché i rapporti si normalizzassero e prendessero la forma se non proprio di un’alleanza, almeno di una cooperazione sempre più strategica, basata su un’ostilità comune contro il mondo dominato dagli Stati Uniti e dal liberismo che si è imposto nel dopoguerra.

Malgrado la vicinanza, Mosca e Pechino cercano di non ripetere gli errori del passato, soprattutto considerando che i loro interessi non sempre coincidono e che il diverso peso economico dei due paesi ha proporzioni tali da poter creare problemi.

Nel 1992, il prodotto interno lordo della Russia era leggermente superiore a quello della Cina, ma oggi quello cinese è cinque volte più grande, abbastanza da creare una dipendenza che però Putin mette in dubbio, anche se le sanzioni occidentali non gli lasciano molta scelta. Resta il campo militare, punto di forza di una Russia che ne ha fatto lo strumento del suo ritorno al centro del palcoscenico internazionale.

Con queste manovre militari condivise, Mosca e Pechino inviano un segnale chiaro, che di sicuro non è un segnale distensivo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata su France Inter.

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