×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

Il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria diventa un caos diplomatico

Il presidente statunitense Donald Trump parla con i giornalisti a Washington, 6 gennaio 2019. (Joshua Roberts, Reuters/Contrasto)

Da due anni la politica estera degli Stati Uniti è improvvisata ed erratica, ma non era mai stata caotica e incomprensibile quanto lo è oggi a proposito della Siria. Il modo in cui Donald Trump prende le sue decisioni su un argomento delicato come l’invio o il richiamo delle truppe da un teatro di guerra crea un pasticcio tale che nessuno sa più quale sia la reale posizione di Washington.

Siamo arrivati al punto che i principali responsabili della diplomazia statunitense manifestano posizioni contrastanti contemporaneamente, mentre Donald Trump accusa il New York Times di aver mentito affermando che il presidente è tornato sulla sua decisione affrettata di ritirare i soldati dalla Siria.

L’8 gennaio, il consulente della Casa Bianca per la sicurezza nazionale John Bolton si è lasciato umiliare pubblicamente dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. È un caos all’altezza di un presidente disfunzionale che prende le sue decisioni senza consultare nessuno e senza assumersene le responsabilità.

Annuncio telefonico
Abbiamo assistito a uno psicodramma in tre atti. Il primo è stato quello del dicembre appena trascorso, quando Donald Trump, al telefono con il presidente turco, ha annunciato con enorme sorpresa del suo interlocutore che avrebbe ritirato i duemila soldati statunitensi di stanza in Siria. Questi uomini, accanto alle forze speciali francesi e britanniche, rappresentano un sostengo per i curdi che hanno combattuto il gruppo Stato islamico (Is) e riconquistato Raqqa.

Trump, contro ogni evidenza, ha dichiarato che l’Is è stato ormai sconfitto, che gli Stati Uniti non hanno più nulla da fare in Siria e che l’Iran può comportarsi come gli pare nel paese.

Questo colpo di scena ha provocato le dimissioni clamorose del ministro della difesa, il generale Jim Mattis. Francesi e britannici sono stati messi davanti al fatto compiuto, mentre i curdi ora temono un attacco turco perché Erdoğan li considera come “terroristi” da eliminare.

Il consulente di Trump ha posto delle condizioni per il ritiro, il segretario di stato Pompeo l’ha smentito

Il secondo atto è arrivato quando l’entourage del presidente, ma anche gli israeliani furiosi perché Trump ha lasciato campo libero all’Iran in Siria, lo ha spinto a temporeggiare. Il ritiro repentino si è così trasformato in un ritiro scaglionato, come aveva chiesto con discrezione la Francia.

Il terzo atto è il più confuso, tanto che attualmente non abbiamo idea di come stiano le cose. John Bolton, consulente di Donald Trump, ha dichiarato durante un viaggio in Turchia che i soldati statunitensi non si ritireranno a meno che il presidente turco non si impegni a proteggere i combattenti curdi siriani. “Bolton ha commesso un errore molto grave”, gli ha risposto pubblicamente Erdoğan, furioso, rifiutandosi di riceverlo.

Nello stesso momento, dall’altra parte del Medio Oriente, il segretario di stato Mike Pompeo dichiarava che le truppe si ritireranno come annunciato da Trump, senza porre condizioni.

Tutto questo sarebbe comico se non parlassimo della prima potenza mondiale, della sorte di intere popolazioni e di regioni che si trovano al centro di un grande conflitto. Forse la situazione può aiutare noi europei a capire che siamo entrati in un’epoca postamericana in cui non potremo più contare costantemente sullo “zio Sam”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

pubblicità