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L’Europa rifiuta di bandire Huawei malgrado le pressioni statunitensi

Un laboratorio Vodafone per testare il 5g a Düsseldorf, Germania, 21 gennaio 2020. (Wolfram Schroll, Bloomberg via Getty Images)

Per più di un anno gli europei hanno girato attorno a una decisione difficile: è giusto seguire gli Stati Uniti ed escludere Huawei dallo sviluppo della rete 5g? Per più di un anno le pressioni dell’amministrazione Trump, che ne fa una questione di principio, si sono opposte a quelle di Pechino, che minaccia rappresaglie contro i paesi che decidessero di seguire gli Stati Uniti.

Le raccomandazioni fatte il 29 gennaio a Bruxelles dal commissario europeo Thierry Breton evidenziano il rifiuto di allinearsi all’orientamento americano. Per l’amministrazione Trump si tratta di una sconfitta pesante, tanto più che il primo ministro britannico Boris Johnson, alla vigilia della Brexit, ha adottato una posizione simile nonostante la sbandierata vicinanza tra lui e il presidente degli Stati Uniti.

Tuttavia per l’azienda cinese non si tratta di un successo totale. Bruxelles, infatti, raccomanda di non garantire a Huawei l’accesso ai settori più delicati della futura rete 5g. In ogni caso, diversamente dagli Stati Uniti, in Europa non esisterà un divieto totale dal forte profumo di guerra fredda, e Huawei non sarà esclusa dalle infrastrutture giudicate non sensibili.

Giri di parole
La sfiducia nei confronti di Huawei è evidentemente legata alla nazionalità dell’azienda. Anche se Huawei è un’impresa privata, la sua ben nota vicinanza con lo stato e il Partito comunista cinese pone un evidente problema di sicurezza. Come ha dichiarato Thierry Breton a Le Monde, i servizi del 5g riguardano direttamente “la sicurezza e la sovranità degli stati”. Gli operatori di telecomunicazioni, di conseguenza, non devono “selezionare fornitori a rischio che potrebbero permettere a uno stato straniero di raccogliere informazioni su siti strategici”.

Con queste decisioni l’Europa si assume il rischio di scontentare tutti

Gli europei si preoccupano di non nominare direttamente Huawei per non suscitare le ire di Pechino, ma è chiaro che le parole di Breton si riferiscono solo e unicamente al gigante cinese.

Va detto che l’Europa aveva mantenuto un atteggiamento più discreto ai tempi delle rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza massiccia effettuata dalle autorità degli Stati Uniti, anche nei confronti degli alleati. Evidentemente, da un alleato si sopporta ciò che è invece inaccettabile da parte di un “rivale sistemico”, per riportare la descrizione della Cina contenuta in un documento della Commissione.

Forte segnale industriale
Con queste decisioni l’Europa si assume il rischio di scontentare tutti. Ma è probabile che Pechino possa accontentarsi di questa porta socchiusa, che invece segna una volontà chiara dell’Europa di non seguire ciecamente Washington nella sua guerra tecnologica.

Gli Stati Uniti non saranno affatto contenti. Per il momento Washington sta concentrando le sue critiche sui britannici, da cui si attendeva una lealtà incondizionata. Il segretario di stato Mike Pompeo ha già invitato Londra a riconsiderare la propria decisione.

Per l’Europa si tratta di un segnale industriale forte, destinato a mobilitare le energie per il 5g (in cui il vecchio continente non è del tutto assente) ma anche, come sottolinea Breton, per prepararsi all’appuntamento con la generazione seguente, il 6g.

È una prospettiva lontana che tuttavia ci dimostra che l’Europa non vuole solo fare da arbitro tra Stati Uniti e Cina, ma recuperare un ruolo normativo. È passato tanto tempo dall’ultima volta in cui avevamo ascoltato questa musica in Europa. È una buona notizia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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