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La Cina ottiene il suo Gps, strumento di autonomia e potenza

Il lancio del razzo che trasporta il satellite Beidou-3, nella provincia cinese di Sichuan, 23 giugno 2020. (China Daily/Reuters/Contrasto)

La Cina ha nuovamente dimostrato la sua capacità di essere una superpotenza del ventunesimo secolo, completando in settimana la rete mondiale dell’equivalente del Gps statunitense, il sistema di geolocalizzazione indispensabile per le economie e gli eserciti moderni.

Non è un risultato da poco. La Cina ha lanciato il 59º e ultimo satellite del suo sistema di geolocalizzazione chiamato BeiDou, “grande orso”. Trentacinque di questi 59 satelliti sono di ultima generazione. L’intera operazione è stata completata in meno di vent’anni.

In questo modo la Cina entra a far parte di un club estremamente ristretto, composto dagli Stati Uniti e il loro Gps (a lungo il sistema egemone), dalla Russia con il suo Glonass e dell’Europa con Galileo. Il Giappone sta cercando di tenere il passo, mentre il Regno Unito, escluso da Galileo a causa della Brexit, pensa di lanciare una sua rete.
Parliamo di uno strumento di autonomia strategica indispensabile per qualsiasi potenza degna di questo nome. La storia del BeiDou, in questo senso, è significativa.

All’inizio del nuovo millennio, quando la Cina era ancora un paese emergente, Pechino aveva scelto di collaborare con gli europei per Galileo. Il governo cinese aveva partecipato anche finanziariamente, con un investimento da 200 milioni di euro.

L’esplorazione dello spazio è uno degli ambiti cruciali della rimonta cinese

Tuttavia le obiezioni statunitensi davanti a un possibile uso militare dei dati di Galileo da parte della Cina avevano costretto l’Europa a rinegoziare l’accordo, per privare Pechino dell’accesso al sistema in caso di conflitto. Ricordiamo ancora quando il capo di stato maggiore francese è sbarcato a Pechino per discutere la clausola di espulsione, tra lo sgomento dei cinesi.

Quell’incidente ha spinto le autorità cinesi a sviluppare una sua rete indipendente. Come spiegava uno di loro, “se dipendi dai satelliti degli altri non sai in quale momento potresti ritrovarti disconnesso”.

Nel duemila gli occidentali non avevano capito che la Cina non si sarebbe mai accontentata del ruolo secondario a cui volevano relegarla. Pechino intendeva raggiungere le potenze più avanzate, e ha trovato il modo di farlo.

L’esplorazione dello spazio è uno degli ambiti cruciali della rimonta cinese. Pechino è ancora lontana dagli Stati Uniti, ma nei prossimi anni manderà un uomo sulla Luna (il secondo paese nella storia a farlo) e potrà contare su una sua stazione spaziale, il tutto in stretta collaborazione con l’esercito. D’altronde è stata proprio la Cina, nel 2007, a rilanciare la militarizzazione dello spazio testando un’arma capace di distruggere i satelliti.

Il successo del “Gps cinese” era un obiettivo altamente strategico. A conti fatti Pechino ha seguito il consiglio che il presidente francese Jacques Chirac aveva dato agli europei, spingendoli a investire su Galileo per evitare una “vassallizzazione” nei confronti degli Stati Uniti.

BeiDou diventa realtà proprio nel momento in cui gli statunitensi tentano un “disaccoppiamento” tra le due economie, come a far presente a Washington che ormai è troppo tardi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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