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Teheran sfida l’occidente con l’esecuzione del giornalista Ruhollah Zam

Il giornalista Ruhollah Zam durante il suo processo a Teheran, Iran, il 2 giugno 2020. (Mizan News Agency/West Asia News Agency/Reuters/Contrasto)

Dal 2011 Ruhollah Zam viveva in Francia come rifugiato politico. Era un giornalista dissidente molto attivo sui social network, dove pubblicava informazioni sul suo paese. Qualche mese fa si era recato in Iraq, attirato dalla promessa di fondi per finanziare un canale online. Non è mai tornato. Zam è caduto in una trappola e si è ritrovato davanti a un tribunale che l’ha condannato a morte. Il 12 dicembre, in Iran, è stato impiccato.

Immediatamente sono arrivate le reazioni di sdegno, tra cui quella della Francia, che ha usato parole insolitamente forti parlando di “atto barbaro e inaccettabile”. La Francia e molti paesi europei hanno deciso di boicottare un forum economico con l’Iran che avrebbe dovuto svolgersi il 15 dicembre e che alla fine è stato annullato.

Il 14 dicembre si è diffusa la notizia che un altro dissidente iraniano in esilio in Svezia, Habib Chaab, è stato rapito dai servizi segreti iraniani a Istanbul, dove era stato attirato anche in questo caso in una trappola. Il suo arresto è stato comunicato a Teheran. Accusato di essere vicino a un gruppo che difende la minoranza araba in Iran, Chaab rischia di fare la stessa fine di Zam.

Stato di paranoia
La repubblica islamica non ha mai usato la mano leggera per regolare i suoi conti fuori dalle frontiere del paese. Tuttavia oggi esiste un contesto particolare che può spiegare le azioni di Teheran.

Il regime iraniano, composto da diverse fazioni, vive in uno stato di paranoia dopo una serie di eventi che ne hanno minacciato la stabilità: le grandi ondate di malcontento sociale o politico, tra cui quella del 2017 che ha coinvolto Zam; una serie di omicidi, di cui l’ultimo, quello del capo del programma nucleare Mohsen Fakhrizadeh, si è verificato appena tre settimane fa, e l’eliminazione del generale Soleimani, l’uomo chiave delle operazioni iraniane in Medio Oriente, ucciso un anno fa in Iraq da un drone statunitense.

L’esecuzione di Zam non incoraggia nessuno a riaprire il dialogo sul nucleare

Attaccare i dissidenti legati all’occidente (Zam è stato accusato di collaborare con i servizi segreti francesi) è un modo per inviare un messaggio di intransigenza e sfida in un momento di grande fragilità.

Quale impatto avrà tutto questo sull’accordo sul nucleare? La questione è complicata. Di sicuro l’atteggiamento di Teheran non facilita la ripresa del negoziato voluta dal futuro presidente degli Stati Uniti Joe Biden. L’esecuzione di Zam, evidentemente, non incoraggia nessuno a riaprire il dialogo con il regime.

Ma al contempo non possiamo escludere che la decisione sia stata presa dall’ala dura del regime iraniano, la stessa che non vorrebbe avviare una nuova trattativa con il “grande satana” americano.

Ormai da anni la complessità della struttura del potere in Iran ostacola qualsiasi trattativa, tra un presidente senza grande potere, una guida suprema che ha l’ultima parola su tutto e i guardiani della rivoluzione che non obbediscono al governo.
Chi ha voluto la morte di Zam? E con quale scopo? In attesa di trovare le risposte a queste domande, resta una vicenda indegna di uno stato del ventunesimo secolo, che tra l’altro getta un’ombra sull’era diplomatica che sta per aprirsi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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