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L’imbarazzo francese dopo la sanguinosa transizione in Ciad

Le proteste a N’Djamena, Ciad, 27 aprile 2021. (Issouf Sanogo, Afp)

Dopo la morte al fronte del presidente del Ciad Idriss Déby, il 20 aprile, mancava un attore nello scenario in cui operano l’esercito, i ribelli, la Francia e i paesi della regione. Questo attore è il popolo del Ciad, che il 27 aprile si è fatto sentire dai nuovi padroni del paese. L’irruzione della società civile ha avuto un risvolto tragico, con cinque morti (nove secondo alcune fonti) durante le manifestazioni represse con proiettili veri.

I manifestanti che hanno sfilato nella capitale N’Djamena e a Moundou, nel sud del paese, estromesso dai giochi politici tra le etnie del nord, si oppongono alla confisca del potere da parte di un Consiglio militare presieduto dal figlio di Déby. Il popolo del Ciad ha espresso un doppio rifiuto nei confronti della transizione militare contraria alla costituzione e della successione “monarchica” dal sapore di colpo di stato.

La popolazione ha detto un terzo no, stavolta alla Francia, dopo la presenza del presidente Emmanuel Macron, il 24 aprile, ai funerali del capo di stato defunto. Con le sue dichiarazioni Macron ha espresso un evidente sostegno alla successione di cui ha beneficiato il generale Mahamat Idriss Déby.

Una crisi imprevista
Di fatto la posizione della Francia è fortemente ambigua. Dopo aver dichiarato il 24 aprile che Parigi non “permetterà a nessuno di minacciare il Ciad”, una presa di posizione interpretata come un appoggio alle nuove autorità, il 27 aprile Macron ha cambiato radicalmente tono.

Parlando sulla scalinata dell’Eliseo al fianco del presidente della Repubblica Democratica del Congo Félix Tshisekedi, Macron ha condannato “con la più grande fermezza la repressione” dei manifestanti, e soprattutto ha dichiarato di non essere favorevole al “piano di successione”, prendendo le distanze in questo modo dal figlio di Déby.

Macron sembra voler trovare la quadratura del cerchio nel Sahel

La Francia e la Repubblica Democratica del Congo si sono pronunciate a favore di una “transizione pacifica, democratica e inclusiva”. La presenza al fianco di Macron del presidente congolese è servita a evitare che le sue dichiarazioni assumessero un aspetto troppo neocoloniale.

I due interventi di Macron, separati da appena tre giorni e in apparenza contraddittori, illustrano tutto l’imbarazzo della Francia nella gestione di una crisi imprevista nell’ambito della complessa guerra del Sahel, in cui il Ciad ricopre un ruolo militare cruciale.

Macron cerca di preservare la stabilità del Ciad per permettere al paese di continuare ad avere una parte attiva in Sahel, ma al contempo vuole sostenere una transizione democratica. Sembra un tentativo di trovare la quadratura del cerchio.

Macron ha rivendicato questo equilibrismo in un’intervista pubblicata a margine del libro Le piège africain de Macron (La trappola africana di Macron) e firmato dai giornalisti francesi Antoine Glaser e Pascal Airault. Nell’intervista Macron confessa il suo malessere rispetto a quelle che chiama “rimanenze” della Francefrique.

Tuttavia il presidente aggiunge di sentirsi “obbligato a trattare con un sistema” e porta l’esempio di Paul Biya, presidente del Camerun avvinghiato al potere dal 1982. “Non interverrò militarmente per deporlo”, precisa in modo piuttosto impertinente. “Ci metteremo dieci anni a cambiare le cose”.

Ma nel Ciad e in Sahel Macron non ha dieci anni di tempo. Il dilemma, per la Francia, è oggi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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