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Nuovi scontri tra Azerbaigian e Armenia, mentre la Russia guarda altrove

Erevan, Armenia, 13 settembre 2022. Parenti dei soldati coinvolti negli scontri. (Karen Minasyan, Afp)

Stavolta gli scontri tra truppe armene e azere si sono verificati in territorio armeno e non come nel 2020 nell’enclave del Nagorno Karabakh, in Azerbaigian. I morti tra gli armeni sono 49, una cinquantina di vittime tra gli azeri. Evidentemente non si tratta di un semplice incidente alla frontiera.

Il 13 settembre l’intervento diplomatico russo ha permesso un cessate il fuoco, che tuttavia è stato subito violato. Una tregua incerta tra i due paesi reggeva dal novembre del 2020, quando 44 giorni di guerra avevano provocato 6.600 morti e l’Azerbaigian aveva di fatto scacciato gli armeni dai territori che controllavano da più di trent’anni. Ma una tregua non è la pace, una pace ancora difficile da negoziare tra le due ex repubbliche sovietiche.

Lo scambio di territori dopo il cessate il fuoco

Perché questa ripresa delle ostilità? Ognuno accusa l’altro, naturalmente, ma viene da chiedersi se tutto questo non sia, almeno in parte, una conseguenza indiretta dell’invasione russa dell’Ucraina, con il relativo stallo del conflitto.

La Russia è il garante dell’accordo tra i due paesi – con disposizioni complesse che prevedono lo spiegamento di forze di interposizione russe, la presenza di corridoi di circolazione protetti e l’avvio di un negoziato – ma è anche il protettore dell’Armenia, a cui è legata da un accordo di difesa.

Prima dell’estate un funzionario azero mi aveva confessato che la guerra in Ucraina avvantaggiava il suo paese. Questa guerra che sembra destinata a durare nel tempo monopolizza infatti l’attenzione di Mosca, lasciando mano libera all’Azerbaigian per imporre le sue condizioni nel negoziato di pace con l’Armenia grazie a un rapporto di forze ribaltato.

La leader europea ha lasciato intendere che non si può avere tutto, sia il gas sia l’integrità morale

Altra circostanza favorevole, l’Azerbaigian è un grande produttore di gas, bene attualmente molto richiesto. A luglio la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha concluso a Baku un accordo destinato ad aumentare la fornitura di gas azero all’Europa.

Von der Leyen è stata criticata per un gesto che ha indebolito la posizione armena e non ha tenuto in considerazione la natura autoritaria del regime azero. Ma la leader europea ha lasciato intendere che non si può avere tutto, sia il gas sia l’integrità morale.

L’Azerbaigian si trova dunque in posizione di forza, perché nonostante la Russia sostenga il cessate il fuoco non ha risposto all’appello lanciato dall’Armenia all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva.

Questa alleanza regionale a cui appartengono sia la Russia sia l’Armenia comprende una clausola di assistenza reciproca simile a quella della Nato: un’aggressione nei confronti di un membro è un’aggressione contro tutti. La Russia, però, ha ignorato questa disposizione, limitandosi a pretendere un cessate il fuoco, come hanno fatto anche Francia e Stati Uniti.

L’Azerbaigian può contare sul sostegno attivo della Turchia, i cui droni hanno avuto un impatto decisivo nella guerra del 2020.

Se lo scontro doveva fungere da test, ha chiaramente dimostrato i limiti del ruolo di gendarme regionale che la Russia ha ricoperto per molto tempo. Un rompicapo in più per Vladimir Putin.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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