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Il mondo sta cambiando a sfavore dell’Europa

Donald Trump accoglie nello studio ovale la squadra maschile statunitense di hockey che ha partecipato alle Olimpiadi del 1980. Washington, 12 dicembre 2025. (Jacquelyn Martin, Ap/LaPresse)

Un simbolo degli stravolgimenti vissuti dal mondo nel 2025 sono le sanzioni imposte dall’amministrazione Trump all’ex commissario europeo Thierry Breton e ad altri quattro leader europei prima di Natale. È stato un gesto ostile senza precedenti tra paesi alleati o, meglio, “teoricamente” alleati. Le reazioni, in Francia e nel resto d’Europa, non si sono fatte attendere.

Le sanzioni sono prima di tutto ideologiche, perché basate su una concezione molto statunitense della libertà d’espressione e legate agli interessi degli oligarchi della tecnologia, diventati il pilastro dell’economia degli Stati Uniti. Le argomentazioni di Washington seguono la scia del discorso pronunciato da J.D. Vance a Monaco all’inizio dell’anno, quando il vicepresidente americano aveva accusato gli europei di “ostacolare la libertà d’espressione”. Lo stesso atteggiamento si ritrova nel documento strategico pubblicato all’inizio di dicembre dall’amministrazione Trump, secondo cui l’Europa rischia la “cancellazione della sua civiltà”.

Lo sconcerto è enorme a ogni tappa di questa separazione. I provvedimenti contro l’ex commissario europeo, accusato di essere alla guida di un “complesso censorio-industriale”, hanno avuto l’effetto di un elettroshock alla vigilia di Natale. Eppure è chiaro che c’è un divorzio in corso fra l’amministrazione Trump e le democrazie liberali d’Europa, anche se queste non si aspettavano tanta violenza.

Gli europei sapevano da anni (fin dalla presidenza Obama) che gli Stati Uniti avevano rivolto il loro sguardo verso l’Asia e soprattutto verso la Cina, principale rivale di Washington, mentre il vecchio continente contava sempre di meno. Trump, però, si è spinto oltre: vuole distruggere l’Unione europea, ripetendo (senza alcun collegamento con la realtà) che è stata inventata per “fregare gli Stati Uniti”.

L’Europa, dunque, si ritrova con un protettore che allo stesso tempo vuole farle la pelle. Gli europei non erano pronti a un’evoluzione di questo tipo, come dimostra il fatto che abbiano sviluppato senza opporsi una doppia dipendenza, dalla tecnologia statunitense (ultradominante, anche perché l’Europa ha saltato una o due rivoluzioni) e, per la propria difesa, dalla presenza americana all’interno della Nato.

Limitare i danni

Nel 2025, sia nel sostegno all’Ucraina sia nei rapporti transatlantici, gli europei hanno finalmente capito che il mondo è cambiato, e non in loro favore. L’Unione oggi si ritrova in una posizione vulnerabile, stretta tra l’aggressività della Russia e l’ostilità degli Stati Uniti.

Il problema, per i 27, è che le dipendenze di questo tipo non si cancellano dall’oggi al domani. Ci vorranno anni, e nel frattempo bisognerà convivere con l’amministrazione Trump cercando di limitare i danni. Per questo motivo la risposta agli attacchi statunitensi è complicata e inevitabilmente deluderà l’opinione pubblica europea.

Una prima prova per gli europei nel 2026 sarà salvare la legge sul digitale per cui Breton è stato sanzionato. Il 24 dicembre la Commissione europea ha difeso la normativa, concordata da stati sovrani e approvata da un parlamento eletto a suffragio universale. Ma l’offensiva di Trump non si fermerà a queste sanzioni. Washington vuole una resa, come chiesto dalla Silicon valley.

La seconda prova sarà quella delle ingerenze. L’amministrazione statunitense sostiene apertamente i partiti di estrema destra in Europa, che nel documento strategico sono definiti forze “patriottiche”, e con ogni probabilità Washington cercherà di aiutare la loro salita al potere. In Europa non bisogna farsi illusioni: sarà un divorzio senza regali.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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