04 ottobre 2015 12:50

«Come si fa la scuola?» Comincia in modo diretto, con questa domanda di Christian Raimo, professore di storia e filosofia e firma di Internazionale, la conversazione tra Lizanne Foster, insegnante canadese di origini sudafricane, e Tullio De Mauro, linguista a cui «per sbaglio – scherza – è accaduto di essere stato scelto come ministro della pubblica istruzione» tra il 2000 e il 2001.

Nell’aula di Lizanne Foster non ci sono banchi, le sedie sono in circolo, c’è spazio e libertà di muoversi. La scuola per lei significa «ospitalità», perché l’insegnante canadese, che ha ricevuto la sua istruzione nell’aula-cella modellata dall’Apartheid, sa bene che «gli studenti ricorderanno come si sentivano con te nelle ore di lezione, se avevano voglia di capire, criticare, approfondire». L’apertura dell’ospitalità, il suo valore, è anzitutto cultura dell’apprendimento, apertura alla libertà: «Anche in un posto squallido – afferma De Mauro – un insegnante ospitale può creare una situazione interessante», una condizione che Foster ritrae ricordando la libertà di Nelson Mandela all’interno della sua piccola cella e auspicando che le menti degli insegnanti sappiano diventare sempre più libere per non aver paura di insegnare a propria volta questo spirito critico. Tuttavia, raggiungere questa dimensione richiede un investimento nella formazione continua, che da troppo tempo la scuola italiana sembra aver dimenticato. Una formazione che deve riprendersi gli spazi pubblici in cui l’istruzione si forma, come le biblioteche, gli istituti di alta formazione, le università che, invece, stanno languendo nell’indifferenza – denuncia De Mauro. «L’edilizia scolastica dovrebbe avere a cuore questo sforzo e prevedere degli spazi di studio per gli stessi insegnanti» insiste. E proprio il “cuore” e la “capacità relazionale” diventano le parole d’ordine per riuscire a passare quella che De Mauro chiama «la santa valutazione», quella degli studenti. La valutazione è il tema caldo attorno a cui prende forma la risposta alla domanda d’apertura. «I test – spiega De Mauro –sono dati utili come possono esserlo la misura dell’altezza o il peso, sono indici che il medico di base valuterà, ma, di certo, non da questi soli egli potrà dedurre lo stato di salute del suo paziente». Al contrario, l’idea di valutazione che sta prendendo piede e che, peraltro, si sta progressivamente restringendo, sembra fare del punteggio l’ultima parola dell’intero sistema scolastico, eludendo ciò a cui nessun insegnante può sottrarsi, il parere degli studenti. «Loro, insieme, difficilmente possono sbagliarsi nel riconoscere i difetti e le virtù del proprio insegnante», afferma De Mauro.

«Negli anni ’50 l’Italia ha fatto degli sforzi sorprendenti per oltrepassare le soglie del sottosviluppo scolastico» ricorda ancora De Mauro, oggi questo sforzo è più vulnerabile, ma non dobbiamo dimenticare che «i margini di libertà dell’insegnante sono ampi. Il capello stretto tra gli altri trova una via per farsi strada» spiega il linguista attraverso la metafora di Lizanne Foster. Allora, auspicano tutti gli ospiti, se questo varco esiste, sia esso breccia per non lasciar morire i luoghi della formazione e continuare a sostenere la libertà nelle generazioni a venire.

(Sara Campanella)

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